Il 7 giugno 1984 Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, dopo un comizio elettorale a Padova venne colto da un malore. Morirà l’11 giugno dopo 4 giorni di coma. A trent’anni di distanza, che in politica ormai sembra un’era geologica, la sua figura è riemersa nell’ultimo periodo. Prima grazie al film di Valter Veltroni, presentato anche nel Piacentino, a Jolly di San Nicolò alla presenza dell’autore, ma anche nell’ultima campagna elettorale con il Movimento 5 Stelle che ha cercato di rievocarlo, facendo leva sulla “questione morale”. E così, per ricordare Berlinguer e quella data spartiacque che segnò un’epoca, abbiamo intervistato Romano Repetti, allora segretario del Partito Comunista a Piacenza.
Di solito, in occasione dei passaggi epocali, si ricorda chiaramente dove ci si trovava o cosa si stava facendo. Qual’è la sua immagine e le emozioni che le riaffiorano da quell’11 giugno 1984?
“Eravamo in campagna elettorale ed ero in comizio a Ferriere. Sono stati giorni di grande commozione. Nel Pci si viveva il partito come una comunità, una famiglia. Siamo stati ai funerali con alcuni pullman a Roma, con grande partecipazione dei piacentini. Sentivamo che stava finendo un’epoca, stava cambiando il sistema, i vecchi partiti di massa avevano un senso di appartenenza, invece la vita si stava laicizzando, indebolendo i legami all’interno del partito. Berlinguer rappresentava ancora un segretario che rafforzava quei legami, però la sua morte ha aperto una fase nuova. Con Natta, una figura ben diversa, forse senza rendercene conto abbiamo vissuto un passaggio epocale”.
C’è qualcosa che rimane della sua figura e delle sue idee?
“Lui ha sempre avuto ferma l’idea di una trasformazione socialista, cioè del superamento del capitalismo e di certi rapporto economici-sociali tra cittadini, anche se si stava via via rivelando irrealistica. I paesi socialisti non erano più un punto di riferimento, però rimaneva un altro aspetto che ci faceva sentire diversi: la questione morale. Negli ultimi anni si era battuto su questo terreno, contrapponendosi al ‘craxismo’. Questo aspetto ci faceva sentire diversi, aspirando a una politica ed una società diversa da qualla che stavamo vivendo. Che la politica fosse corrosa da fenomeni corruttivi si avvertiva, però con il Pci come forza di opposizione cercavamo di contrapporci in positivo. C’è gente oggi che rimprovera questo a Berlinguer, accusandolo di aver isolato il partito. Il che è abbastanza insolito, perché negli anni successivi, come oggi, vediamo come il problema morale incida profondamente in negativo nella vita del nostro paese. Secondo me aveva preso in mano un tema rilevante e sarebbe stato giusto che le sue battaglie fossero portate avanti”.
Nell’ultima campagna elettorale è stato il Movimento 5 Stelle a rievocare la questione morale, citando un’intervista all’ex responsabile giustizia del Pci che ha affermato: “Il M5S è l’erede di Berlinguer”. Che ne pensa?
“Hanno cercato di accaparrarsi l’elettorato di sinistra in campagna elettorale, anche perché Renzi non nasce da quella storia, quindi hanno cercato di fare leva su questo elemento. Però Berlinguer viveva con preoccupazione le condizioni dei lavoratori e quindi cercava di dargli uno sbocco positivo, arrivando persino al compromesso con la Democrazia Cristiana per fare le riforme e arginare il terrorismo. Cercando di essere un politico concreto, non facendo solo opposizione. E questo non mi pare sia l’atteggiamento del Movimento 5 Stelle, che si attesta solo sulla critica generale al sistema. Il segretario era un’altra cosa”.
Nel Partito Democratico, però, l’area di sinistra sembra messa all’angolo. Ce la farà Renzi a cambiare il paese, magari dando sbocco concreto alla questione morale che oggi è tornata in auge grazie alle inchieste giudiziarie?
“Renzi ha capacità di fare politica nel nostro tempo, visto che si sono imposti modelli più personali. Ha spostato l’asse del partito su di sè. Lo abbiamo registrato nell’ultimo risultato elettorale: gli elettori per cambiare si sono affidati a lui, però credo che sia più complesso attuare un cambiamento. Sarebbe necessario un movimento nel paese per le grandi riforme. Perché possono essere realizzate solo se sostenute da movimenti politici reali. Altrimenti è facile che prendano forza le opposizioni al cambiamento. Soprattutto quando si toccano gli interessi. E spesso riescono anche a impedire il cambiamento. L’uomo solo al comando, però, è difficile che riesca a modificare il sistema. Renzi avrebbe bisogno, oltre che al prestigio e alla capacità di movimento, di un forte partito radicato nella società. Per questo, ora, dovrebbe impegnarsi al rilancio del Partito Democratico”.