“Per superare la crisi, hanno speso di più le banche che lo Stato”. Lo sostiene il presidente di Assopopolari, Corrado Sforza Fogliani.
La relazione che il presidente Guzzetti ha tenuto all’Angelicum di Roma in apertura della Giornata del risparmio è stata puntuale ed essenziale nello stesso tempo. Tre i punti fondamentali.
1) Ripresa e inflazione. “La ripresa si sta gradualmente consolidando. Sarebbe però un errore cantare vittoria definitiva sulla crisi. Nell’euro l’inflazione è ancora lontana dal target del 2% indicato dalla Bce e si prevede che tale obiettivo sarà conseguito non prima del 2019”. Poi, una negazione che da molti è stata interpretata perlomeno come una mezza affermazione: “La ripresa italiana non è solo il frutto di favorevoli circostanze esterne”.
2) Abuso del credito e Addendum. Sul primo problema (i banchieri, in occasione di crisi aziendali, vanno incontro a Prefetti e sindacati, ma corrono spesso il rischio di essere penalmente incriminati per abuso del credito) Guzzetti è stato, più che chiaro, perentorio: “Occorre definitivamente chiarire il ruolo della banca nei casi di gravi condizioni dell’impresa affidata, per evitare che erogazioni di prestiti nel tentativo di una ripresa, con le garanzie che l’incertezza richiede, possano essere ricondotte a forme varie di concorso, da parte dell’istituto, nel reato di bancarotta, così come paradossalmente potrebbe accadere per il taglio di finanziamenti in conseguenza della situazione aziendale”. Altrettanto chiare (e perentorie) le parole di Guzzetti sul famoso Addendum europeo: “I recenti indirizzi della Vigilanza unica contenuti nell’Addendum alle disposizioni sulla gestione dei crediti, che fondano la dismissione su un discutibile automatismo, sottovalutando le diversità delle giurisdizioni, la capacità di gestione degli stessi prestiti a livello aziendale e le conseguenze per il riversamento sul mercato di grandi quantità di tali finanziamenti favorendo nettamente i potenziali acquirenti, vanno nettamente riconsiderati”.
3) Debito pubblico e Cdp. La nostra spesa annua per interessi sul debito pubblico è pari a circa quattro punti di Pil ed il debito assomma oggi a 2279 miliardi. E’ necessario intervenire su questa palla al piede. “Da un lato – ha detto Guzzetti – bisogna fare leva sulla crescita che, però, dovrebbe essere maggiore di quella prevista perché dia un contributo efficace, magari insieme all’auspicabile risalita dell’inflazione verso il target del 2 per cento; dall’altro, sono necessarie misure specifiche di mercato riguardanti il debito, anche se destinate a operare in diversi anni, ma secondo una logica sequenziale e con scadenze certe. Nessun rischio, però, può dirsi fugato fino a che permane l’abnormità del livello del debito che, in definitiva, costituisce uno dei principali fra i mali più insidiosi e immanenti per il nostro Paese”. Sono poi necessari investimenti che si traducano in infrastrutture, funzionali alle logiche dello sviluppo, come è indispensabile “evitare qualsiasi tentazione di coinvolgere Cdp in operazioni apertamente in contrasto con il suo statuto, che vieta di investire in aziende in perdita; ciò al fine di non compromettere la capacità di sostegno all’economia, il patrimonio, gli equilibri di bilancio e di conto economico”.
Il discorso del presidente Patuelli è stato il discorso – per così dire – dell’orgoglio delle banche. Ha detto: “Per superare le conseguenze della crisi e favorire la ripresa, le banche in Italia sono impegnate con 152 miliardi di euro di accantonamenti negli ultimi sei anni, con circa 70 miliardi di aumenti di capitale negli ultimi dieci anni, con dieci miliardi, negli ultimi tre anni, per i vari fondi italiani ed europei per le banche in difficoltà. La Repubblica Italiana ha speso molto meno”.
Dopo aver fatto presente che “ci attendiamo che i tassi ufficiali rimangano sugli attuali livelli per un periodo esteso” e che l’introduzione di un approccio temporale alle svalutazioni dei futuri crediti deteriorati conseguirà il suo fine se sarà “grande e ben calibrata”, il Governatore ha dal canto suo fatto presente (e tutti hanno colto l’attualità di questo riferimento, oltre che l’opportunità) che gli accertamenti di vigilanza “richiedono analisi accurate e complesse, in loco e a distanza; non possono fare ricorso ai poteri che la legge riserva all’autorità giudiziaria e alle forze di polizia”. E ancora: “Le banche sono imprese; in condizioni normali, anche in presenza di difficoltà, la Vigilanza non può sostituirsi agli amministratori. Operazioni poste in essere rapidamente per eludere i controlli, per aggirare regole e limiti possono compromettere la stabilità dell’intermediario. I fenomeni più gravi sono stati individuati per tempo e tempestivamente segnalati all’autorità giudiziaria, anche se non sempre questo è sufficiente a evitare una crisi”. E Visco è stato fermo anche nei confronti degli intermediari: “Il principale criterio da seguire per la corretta gestione degli investimenti rimane quello della diversificazione. I risparmiatori devono pretendere il rispetto di questo principio anche quando si affidano alla consulenza di terzi”.
Il ministro Padoan ha poi sostenuto che in Italia “il clima è oggi positivo ed in continuo miglioramento e che “deficit e debito sono in diminuzione”, aggiungendo: “I Pir sono uno strumento di successo, ma siamo solo all’inizio”. Difesa la legge di stabilità all’esame del Parlamento, ha invitato alla fiducia, che è stato il minimo comun denominatore di tutte le relazioni, suggellato da Patuelli con quanto scriveva Luigi Einaudi nella fatidica estate del 1943: “I capitali materiali non sono quel che più importa per la rinascita; ciò che soprattutto conta è la fiducia nell’avvenire”.