“Piacenza può crescere ma ci vuole una classe dirigente capace”

Piacenza non ha dati economici confortanti, ma può vantare eccellenze che possono farla crescere a patto che lo sviluppo sia governato da una classe dirigente capace. Questa, in estrema sintesi, la conclusione a cui è giunto il dibattito con le associazioni di categoria (“Lo sviluppo economico delle attività produttive”) che si è tenuto a Palazzo Galli nell’ambito della terza tappa 2018 del tour Panorama d’Italia (di scena a Piacenza e a Reggio Emilia), l’iniziativa del settimanale alla scoperta delle eccellenze turistiche ed economiche del territorio italiano.

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Dopo il saluto introduttivo del direttore di Panorama Raffaele Leone («Siamo contenti di essere qui perché da queste parti ci sono tante bellezze, anche economiche e imprenditoriali») e del presidente di Assopopolari e del Comitato esecutivo della Banca di Piacenza Corrado Sforza Fogliani («Piacenza è un crocevia di strade consolari, pellegrini, mercanti e banchieri, crocevia nel quale confluisce Panorama, con la Banca felice di accogliere un tour prestigioso. Il credito ha una funzione molto importante per lo sviluppo. Per le organizzazioni di categoria è un errore pensare che le norme europee che ostacolano la funzione delle banche sia solo un loro problema, perché in realtà è un problema di tutti, anche delle imprese»), sono intervenuti – stimolati dalle domande di Nicola Porro, vicedirettore de il Giornale e conduttore televisivo – Giuseppe Nenna, presidente del CdA della Banca di Piacenza, Cesare Betti, direttore Confindustria Piacenza, Cristian Camisa, presidente Confapi Piacenza, Giancarlo Morandi, presidente del Cobat, Luca Altieri, direttore Marketing Ibm Italia, Marco Casagrande, direttore Confagricoltura Piacenza, Marco Crotti, presidente Coldiretti Piacenza, Giuseppe Cavalli, presidente di Piacenza Expo.

Giuseppe Nenna, sottolineato che la Banca di Piacenza è l’unica banca locale, si è dichiarato ottimista: «La Banca ottiene risultati positivi nonostante la crisi economica degli anni passati e anche se fare banca, con tassi negativi, diventa difficile, l’efficienza sviluppata in passato sommata ai segnali di timida ripresa, ci consente di guardare con fiducia al futuro. Mentre gli altri lo hanno diminuito, noi abbiamo aumentato il finanziamento alle imprese del 2,5%». Rispondendo alle domande di Nicola Porro, il presidente Nenna ha criticato l’eccessiva produzione di norme europee sulle banche («l’eccesso di burocrazia ci costa un milione di euro l’anno») e fatto presente come la Banca di Piacenza non si occupi solo di economia e finanza, ma anche di cultura («con la Salita al Pordenone stiamo portando a Piacenza tanti turisti, anche stranieri»).

Cesare Betti ha fatto una panoramica sull’andamento dell’industria piacentina, ponendo l’accento – nonostante la crisi economica abbia lasciato segni evidenti – sul dato occupazionale: «A Piacenza siamo al 69,4%, contro il 58% del dato nazionale; il tasso di disoccupazione si attesta al 6,1%, in Italia siamo all’11,2». Il direttore della locale Confindustria ha quindi citato come settori trainanti la logistica e la meccatronica (ancora in sofferenza, invece, l’edilizia) e, rispondendo a un quesito sul credito, ha spiegato che passata la tempesta della crisi non è più un grosso problema (anche se lo è stato): «A una guerra quale è stata la crisi economica, sono sopravvissute solo le aziende più forti, le più sane».

«Il problema del credito nasce dal fatto che si continua a dire che piccolo non è bello in un Paese dove il 90% del tessuto industriale è rappresentato da piccole e medie imprese – ha evidenziato Cristian Camisa -. Piccolo invece è un valore aggiunto, anche per le aziende di credito. Qui la banca locale è attenta alle aziende, le grandi banche spesso fanno credito a chi non ne ha bisogno». A giudizio del presidente Confapi, Piacenza è un territorio di confine con eccellenze che non è riuscita a sfruttare pienamente, dove si è sviluppata una logistica “povera” e con settori in salute da valorizzare, come il packaging che, indotto compreso, offre lavoro a 2500 persone.

Giancarlo Morandi, del Consorzio nazionale raccolta e riciclo, ha spiegato i benefici dell’economia circolare (un sistema economico, cioè, pensato per potersi rigenerare da solo): «Il suo sviluppo è necessario per evitare di avere un futuro alla Blade Runner. Un bene viene prodotto e venduto e, in base alle norme europee, deve essere recuperato e riciclato se non è possibile il suo riuso. Così facendo avremo un Paese pulito e con risorse immense ricavate dai rifiuti. Faccio un esempio: con la raccolta delle batterie esauste, fin dal 2008 si è evitato al pianeta la costruzione di una miniera lunga 20 chilometri per estrarre piombo».
Luca Altieri (Ibm) ha affermato che «la tecnologia digitale è la condicio sine qua non per lo sviluppo delle imprese, che devono saper coglierne i benefici. Occorre investire in intelligenza artificiale, così come sta facendo Macron in Francia, però è necessario che le maestranze siano all’altezza dell’industria 4.0».
Pregi e difetti dell’agricoltura piacentina sono stati evidenziati da Marco Casagrande (Confagricoltura) e Marco Crotti (Coldiretti). «Vengo dal mondo dell’industria alimentare – ha sottolineato Casagrande – e devo dire che ho trovato l’agricoltura piacentina una realtà d’alto livello, che ha investito tantissimo in tecnologia e innovazione sostenibili». Concetti ribaditi da Crotti: «Oggi nella nostra agricoltura l’innovazione è indispensabile per garantire la tradizione, nel rispetto dell’ambiente e dei consumatori. A Piacenza abbiamo eccellenze con pomodoro e latte, mentre in collina e montagna si soffre un po’ perché mancano le infrastrutture».

Stefano Cavalli di Piacenza Expo ha illustrato la strategia per incentivare il settore fieristico, puntando su settori particolareggiati che rappresentino quella novità che possa attrarre anche dall’estero. «Dobbiamo sfruttare la posizione strategica della nostra fiera, far conoscere la struttura, perché più fiera significa più sviluppo economico». Cavalli, accennando al settore edile, di cui si occupa nello svolgimento della propria attività imprenditoriale, ha lamentato la mancanza di manodopera qualificata. Un problema evidenziato anche da tutti i rappresentanti delle associazioni di categoria.

Al termine dell’interessante dibattito, il vicesindaco Elena Baio ha portato i saluti dell’Amministrazione comunale annunciando gli “Stati generali della ricerca” che si terranno a Piacenza il 15 e 16 giugno, sottolineando che «la ricerca è fondamentale per lo sviluppo» e invitando all’iniziativa Panorama d’Italia. La giornata piacentina del tour di Panorama si è conclusa con la Salita al Pordenone, compiuta anche da Nicola Porro.

 

Marco Casagrande (Confagricoltura): “Creiamo piattaforme di vendita all’estero”

Nuovo direttore dell’Unione agricoltori di Piacenza. Uscita pubblica al dibattito di Panorama d’Italia a Palazzo Galli sullo sviluppo del sistema imprenditoriale piacentino. Sessant’anni, piacentino (padre di Piacenza, mamma di Cortemaggiore), sposato con due figli, è laureato in Agraria alla Cattolica. Marco Casagrande vanta una lunga esperienza ad alti livelli nel mondo della produzione industriale, soprattutto nel settore dei trasformati del lattiero-caseario. Ha lavorato, tra gli altri, per Galbani, Yomo (9 anni), Sammontana (8 anni), Esselunga (curando la produzione interna nella stabilimento di Parma) ed Emmi, il più grande produttore caseario svizzero.

Ora una nuova sfida nella sua città, alla guida di un’organizzazione che aggrega oltre tremila aziende. «Il mondo agricolo – ci ha dichiarato il direttore di Confagricoltura – ha tanto bisogno di cambiare mentalità. Ho accettato questa sfida perché il primario è uno dei pochi settori in cui l’associazionismo di categoria ha ancora un senso: c’è infatti molta frammentazione e solo uniti di può ottenere un buon potere contrattuale. A volte siamo troppo individualisti».
«Il nostro settore – prosegue Casagrande – ha bisogno di non essere continuamente criminalizzato. Poi scontiamo un deficit di materie prime per l’industria che ci penalizza, costringendoci all’import. E’ necessario allargare le produzioni, senza rifugiarci troppo nei prodotti di nicchia. Il protezionismo del made in Italy può anche andare bene, ma solo se non penalizza i quantitativi della produzione. I mercati all’estero si conquistano creando le piattaforme di vendita. Non dobbiamo limitare la produzione; il prezzo lo fa il mercato. E noi abbiamo bisogno di Pil e di occupazione».