Due anni e tre mesi per Stefano Cavalli e Maurizio Parma, due anni e sei mesi per Manes Bernardini. Sono le richieste di condanna formulate dal Pm Morena Plazzi nel processo ai tre ex consiglieri regionali della Lega Nord, accusati di peculato. Processo che si sta tenendo al tribunale di Bologna. L’inchiesta era stata denominata “spese pazze” anche più correttamente si tratterebbe di rimborsi non dovuti: “Non ci troviamo di fronte a spese pazze, se non con rare eccezioni e che non riguardano il caso della Lega Nord” ha specificato il pm Plazzi. E infatti la condanna è stata chiesta solo per alcune voci di spesa e per tre consulenze. Per il resto è stata chiesta l’assoluzione. La sentenza è prevista per il 24 marzo.
Per quanto riguarda il piacentino Cavalli le accuse della Procura si focalizzano soprattutto su una serie di viaggi effettuati, tra maggio 2010 e fine 2011, da Caorso (il paese in cui risiede l’ex consigliere) in località come Chiavari e Sestri Levante. Viaggi, a cui si collegano anche una serie di spese per pranzi e cene al ristorante, per cui è stato chiesto il rimborso chilometrico, ma che per Plazzi nulla avevano a che fare con la funzione istituzionale di Cavalli (anche perché, fa notare la pm, sono stati effettuati in periodi `di vacanza´, tanto in estate quanto in inverno). All’ex consigliere del Carroccio, inizialmente imputato per circa 44.000 euro, vengono poi contestati altri rimborsi sparsi, come quelli richiesti il 26 aprile 2011 per due incontri che sarebbero però avvenuti alla stessa ora. Per tutta una serie di altre spese, invece, Plazzi ha chiesto l’assoluzione per insufficienza o contradittorietà delle prove.
Per quanto riguarda Parma il pm ha puntato il dito in particolare contro quella che ha definito “pseudo-consulenza da 1200 euro al mese affidata, nel periodo in cui Parma era capogruppo (2005-2009) ad una collega di studio dell’avvocato Roberto Corradi, all’epoca consigliere regionale della Lega, e uscito dal processo a settembre 2015 patteggiando un anno e sei mesi. La richiesta di condanna nasce proprio dal fatto che Parma avallò i pagamenti alla consulente, pur essendo consapevole, secondo Plazzi, del fatto che si trattava di un incarico “fasullo”. La pm ha invece chiesto l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, per le spese conviviali come ad esempio le cene, perché “in quanto è difficile dimostrare che non fossero inerenti all’incarico istituzionale ricoperto da Parma”.