COMUNICATO STAMPA
Pubblica Amministrazione e part-time: contemperare gli interessi, gestire il conflitto.
INTERVENTO di Michele Bricchi, responsabile Politiche del lavoro PD di Piacenza
In questi giorni è ulteriormente balzata alle cronache la vicenda relativa al potere dei datori di lavoro pubblici di modificare, “unilateralmente”, i contratti di lavoro a tempo parziale in contratti di lavoro a tempo pieno. La vicenda, complessa, merita una pur breve ricostruzione dal punto di vista giuridico – e politico – al fine di fare chiarezza.
Si impongono, tuttavia, preliminarmente alcune brevi riflessioni di altra natura. La prima è che una questione strettamente “sindacale” è non solo da quegli stessi confini fuoriuscita – di qui la necessità di un intervento “correttivo” politico – ma che è anche stata gestita in modo “conflittuale” quando, al contrario, il nostro paese dovrebbe recuperare una generale cultura del dialogo e del confronto. La seconda è che l’assegnazione di un lavoratore ad un servizio pubblico deve comunque tenere conto delle esigenze di entrambe le parti, e che pertanto la P.A. ben potrebbe contemperarle semplicemente assegnando il lavoratore ad altra articolazione. Questa osservazione vale, a maggiore ragione, in un settore “particolare” come quello della sanità, dove l’attività è articolata in turni con garanzia di continuità nell’assistenza. La terza è che, per l’ennesima volta, questo legislatore di centro destra ha prodotto, in ambito lavoristico, una norma grammaticalmente inappropriata e logicamente confusa, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. La quarta, ed ultima, è che è davvero paradossale che siano proprio gli esponenti del centro destra ad erigersi – ancorché in modo del tutto strumentale – a difesa dei lavoratori, dopo anni di disinteresse se non di vero e proprio “maltrattamento”: siamo davvero sicuri che la norma del 2008, ovvero il “tramonto” del diritto al part-time nel settore pubblico, sia ingiusta? Soprattutto, dov’erano e a cosa pensavano questi stessi esponenti del centro destra quando, come parlamentari, contribuivano a licenziare il “collegato lavoro”, in tal modo “regalando” alle amministrazioni pubbliche un’ulteriore grattacapo ed ai diritti dei lavoratori l’ennesima mortificazione? Certo, è facile “ora” proporsi e promettere nelle sedi informali, ma sarebbe stato più serio ed opportuno impegnarsi “prima” in quelle istituzionali.
Ciò detto, questi i fatti. Nel settore pubblico la legge riconosceva al singolo lavoratore un diritto “assoluto” di trasformare il rapporto di lavoro a tempo pieno in part-time, con prevalenza quindi della sua posizione rispetto alle esigenze organizzative della P.A. che non poteva opporre rifiuto (art. 1, comma 58, della l. n. 662/1996).
Nel tempo, però, si è assistito ad un cambiamento di rotta che, gradualmente, ha cercato di favorire i datori di lavoro pubblici: se da subito il Min. Funzione Pubblica ha proposto una soluzione sì “compromissoria”, ma tendenzialmente diretta a valorizzare le esigenze della P.A. (circ. n. 8/1997), più di recente il legislatore ha abrogato il diritto del lavoratore al part-time riconoscendo in capo alla P.A. il potere di “concessione” (art. 73 della l. n. 133/2008).
Fino a qui, nulla di particolare. Sennonché, il legislatore è nuovamente intervenuto in materia con il controverso art. 16 della l. n. 183/2010, c.d. “collegato lavoro”, che, introducendo un’innovazione di carattere transitorio, immediatamente criticata dalle organizzazioni sindacali, attribuisce alla P.A. il potere di riesaminare anche i provvedimenti di concessione del part-time adottati prima del 2008. A tale riguardo, se come pare il “collegato lavoro” non attribuisce al datore di lavoro pubblico un potere modificativo di carattere generalizzato, ma la mera “facoltà” di riesaminare i provvedimenti di concessione del part-time adottati prima del 2008 (in quel caso, dovendo il dirigente responsabile tenere conto sia del termine di decadenza del 24 maggio 2011, che dei criteri di correttezza e buona fede come sottolineato dal Min. Giustizia nella circ. n. 1196/2010), va segnalato che nel frattempo la giurisprudenza si è già pronunziata per la prima volta, stabilendo che il lavoratore perde il diritto alla conservazione del part-time quando sia “risultato pacifico tra le parti che vi siano reali ragioni di interesse pubblico alla ricostituzione dell’orario full-time” (Trib. di Firenze, 07/03/2011).