E’ deceduto all’ospedale di Brescia, il piccolo Tommy, 17 mesi, il bambino originario di Piacenza simbolo della lotta tra i sinti ed il comune. Ieri pomeriggio la morte, agli Spedali Civili, dov’era ricoverato da circa due mesi. Tommaso, che soffriva di una rarissima malattia genetica (H-ABC, solo 14 casi al mondo) era costretto a vivere attaccato ad una macchina per l’ossigeno. I genitori: Samuel e Fenni Marin, originari di Piacenza, si erano trasferiti per garantire cure migliori al loro bambino, anche se, una volta a Brescia, gli era stato intimato di andarsene proprio perché residenti nel piacentino. Il medico che ha assistito Tommy, il dottor Raffaele Spiazzi, ha precisato: “da quando il bambino è stato ricoverato da noi progressivamente si è aggravato ed era in una situazione senza speranza. Oggi la medicina da qualche possibilità in più di vita, visto che prima le aspettative, per la malattia di cui soffriva il piccolo, erano di qualche giorno”. Il dottor Spiazzi ha poi precisato: “il decesso non ha comunque nessuna relazione con quanto avvenuto il 14 febbraio scorso” (lo sgombero del campo nomadi con conseguente distacco della corrente per la macchina dell’ossigeno).
Quando si è diffusa la notizia della morte sono stati molti ad accorrere all’ospedale del bambini di Brescia, amici e parenti o anche solo conoscenti della famiglia Marin, per un primo saluto allo sfortunato bambino molto toccante.
IL PADRE SAMUEL – Nel pomeriggio il padre di Tommy, Samuel Marin, ha trovato la forza di parlare, supportato anche dalla fede: “erano tutti affezionati a Tommaso, gli volevano tutti bene, purtroppo è peggiorato. Non pensavamo che potesse succedere così presto ma eravamo preparati che questo avvenisse, prima o poi. Era affetto da una malattia rarissima e il primo dottore che l’ha scoperto era proprio quello di Brescia”. Quello che ha stupito, nella reazione della comunità sinti è stato anche l’atteggiamento verso il comune. Nessuna invettiva o recriminazione ma, anzi, una mano tesa, come a voler ricominciare, dopo questa tragedia, una possibile convivenza civile. Anche in questo caso Samuel Marin ha spiegato: “siamo tutti uniti, come un’unica famiglia, ci diamo una mano l’uno con l’altro. Io ho avuto questa disgrazia, ma ho dalla mia parte il Signore. Mi sono convertito alla religione evangelica e la fede mi da la forza per andare avanti nella mia vita”.