“L’affitto è una rapina”. Pallavicini, l’emergenza casa e la disobbedienza

“Sono dei Si Cobas, l'affitto è una rapina, la casa non la pago”. Questa la giustificazione che si sarebbe sentito rivolgere il proprietario piacentino di un appartamento, quando alla fine del mese – come sempre – ha chiesto quanto pattuito  al suo affittuario. Una circostanza riportata sulla pagina Facebook del consigliere comunale della Sinistra per Piacenza, Carlo Pallavicini, da sempre molto vicino alle istanze del sindacato di base, il quale si è felicitato per la “disobbedienza civile” verso un canone evidentemente ritenuto iniquo.

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Per questo abbiamo colto l’occasione per discutere con Pallavicini del tema dell’emergenza abitativa, che anche nella nostra città sta diventando sempre più pressante. Ma soprattutto sembra andare verso una deriva di scontro, come si è tristemente registrato in altre realtà.

Consigliere Pallavicini, la condizione abitativa a Piacenza sta diventando un'emergenza ma nel frattempo ci sarebbero circa 4mila case sfitte. Anche per questo, attraverso Facebook si è felicitato di un caso di sua conoscenza in cui un inquilino avrebbe sostenuto di non voler pagare l’affitto, in quanto si sarebbe trattato “di una rapina”. Quali sono le condizioni a suo parere inaccettabili per dover pagare un affitto?

“Molto semplicemente, quelle che mettono un individuo o una famiglia nella condizione di non poter sopravvivere. Il caso a cui si riferisce, che ormai risale a un po’ di tempo addietro, ne è un esempio: un facchino con una famiglia da mantenere che nonostante il duro lavoro, a mio avviso sottopagato rispetto alla fatica che richiede, non riesce ad arrivare alla fine del mese. Una recente indagine ha rivelato che 62 persone detengono al mondo la ricchezza di altri quattro miliardi. Una diseguaglianza macroscopica a cui anche Piacenza non è estranea. Spesso la parte benestante della città non se ne cura, ma è ormai un dato di fatto che il mondo non si divida in “nord” e  “sud”, quanto piuttosto in tanti centri e tante periferie che convivono ovunque gli uni accanto alle altre, o meglio gli uni giovandosi del lavoro delle altre”.

Lei con i Si Cobas si è spesso opposto a sfratti che riteneva ingiusti. Quando, secondo lei, uno sfratto può dirsi inapplicabile?

“Il Comitato Antisfratto Piacenza è un progetto composto, sia dai Si Cobas che dai ragazzi del NAP (Network antagonista Piacentino) e aperto a chiunque voglia dare una mano sulla base di un principio di solidarietà. Si tratta di valutare di caso in caso se è possibile provare una mediazione con i proprietari, tirare in ballo le istituzioni od opporre una resistenza fisica allo sfratto. In presenza di determinate garanzie siamo noi stessi a suggerire all’inquilino di accettare delle soluzioni di compromesso, ma se queste non ci sono non possiamo tollerare che delle persone vengano gettate in mezzo a una strada. Non in presenza dei 4mila appartamenti vuoti che lei citava e di una simile concentrazione di benessere nella nostra città. Sicuramente, come dissi nella relativa seduta di Consiglio Comunale, licenziare un regolamento ERP che punisce con dieci anni di esclusione dalle graduatorie chi fosse in precedenza risultato moroso, indica che o non si ha consapevolezza della situazione o la si ha e si sceglie di agire contro gli ultimi”.

Il Si Cobas a Piacenza sono diventati una realtà, passata dai picchetti alle aziende alla difesa dei diritti della casa. Ma spesso e volentieri è stato criticato per i metodi di “muro contro muro” messi in atto. Non crede che a volte abbia ecceduto?

“Diciamo che l’incontro fra Si Cobas e ragazzi del movimento antagonista ha permesso di avviare alcuni progetti interessanti tra cui quello abitativo o di sport popolare. Le critiche che riceviamo, e che purtroppo ricadono sempre sulla mia singola persona, probabilmente in conseguenza alla mia visibilità pubblica come consigliere comunale, possono essere mosse da due motivazioni. La prima è la paura della radicalità, instillata anche in tante brave persone, da decenni di assenza di determinate pratiche in città. L’altra è la mala fede. Ricordo quando ci trovammo ad affrontare la vertenza Ikea e lo scandaloso lavoro di denigrazione che venne orchestrato nei nostri confronti. La verità è che siamo semplicemente persone che mettono la solidarietà davanti a tutto, che non si rassegnano a quanto questa politica deprecabile ci consegna. Se con “metodi di muro contro muro” si intende distendersi pacificamente davanti ai cancelli di un’azienda per bloccare la produzione, dico che chi accusa è in mala fede: è ormai noto a tutti che solo arrecando un danno economico si viene presi in considerazione dalla parte padronale. Ma chi subisce aggressioni, minacce e danneggiamenti alle auto, converrà con me metodi davvero poco consoni, siamo sempre noi e la cosa è anche uscita a più riprese sui giornali. Io stesso ne sono stato oggetto, ma ricordiamo per esempio la gravissima aggressione subita da quattro lavoratori del Si Cobas nel dicembre scorso per la quale né i sindacati confederali, né i partiti della cosiddetta ‘sinistra’, né alcuna istituzione hanno mai emesso nemmeno un blando comunicato di condanna. Questo la dice lunga sulla realtà delle parti in campo in questa città e sugli interessi in gioco”.

Dopo i picchetti alle aziende e la resistenza agli sfratti quali sono le nuove emergenze sulle quali lei e il sindacato Si Cobas pensate di concentrarvi?

“Non posso esprimermi per il sindacato dato che pur essendone un soggetto di riferimento non rivesto alcun incarico specifico al suo interno. Quello che posso dire, come militante politico e supporter delle lotte dei Si Cobas, però è che la nostra intenzione è quella di allargare il più possibile il ‘blocco sociale’ che abbiamo costruito negli ultimi sei anni. Noto che spesso i ragazzi miei coetanei in città sono completamente sussunti dal circolo vizioso fatto di lavoro, precario quando non apertamente sfruttato, tendenze sottoculturali rigorosamente impermeabili a qualunque contenuto politico e noia. Esistono ovviamente delle eccezioni ma questa mi sembra la tendenza maggioritaria. Così facendo, non si accorgono che esiste una città, povera ma arrabbiata, all’interno della città preconfezionata nella quale vivono. Ovviamente non credo che sia possibile arrivare a coinvolgere tutti all’interno di un movimento sociale, ma se già qualcuno di questi aprisse gli occhi e vedesse che tanti loro coetanei più poveri si stanno ribellando ottenendo anche delle vittorie, potrebbe generarsi un ciclo virtuoso. Serve però la capacità di mettere in discussione il proprio quieto vivere, l’aperitivo bio e la serata al pub, per dedicare un po’ del proprio tempo agli altri e attraverso questo decostruire quella cultura della ‘lamentela da bar’ per fare proprie altre gerarchie di valori. L’aperitivo bio e la serata al pub, posso garantire, si riesce comunque a farli. Ma per arrivarci è necessaria prima una radicale rottura con tutto quel ‘cittadinismo’, quel ‘legalitarismo’ e quel ‘democraticismo’ che finiscono inevitabilmente per legittimare un modo di fare politica stantio come quello dei partiti o partitini esclusivamente elettorali. Non solo: a causa di questi mali, alcuni soggetti potenzialmente solidali tendono a disinteressarsi delle battaglie sociali perché blanditi da qualche ‘poppata’ dalle mammelle istituzionali quando non da promesse che resteranno puntualmente tali. Penso a come l’attuale governo cittadino si stia prendendo gioco delle persone Lgbt, continuando a ostruire il percorso della mia mozione sulle unioni civili o al gioco a favore di telecamere su delicati temi ambientali, a cui però nessuno in posizioni di potere vuole in realtà dare concretezza”.