Mondialità, dove palestinesi e israeliani riescono ancora ad abbracciarsi

“Accogliere la differenza, temere l’indifferenza”. E’ il motto della "Settimana della mondialità", evento organizzato ormai da cinque anni dall’associazione “A gonfie vele”, che porta all’incontro nel Piacentino di centinaia di ragazzi provenienti da tutto il mondo.  
Sono circa 150 quelli che partecipano quest’anno e che ieri si sono ritrovati, dopo un breve tour in città, al circolo parrocchiale di Roveleto di Cadeo, prima di tornare a Veano (Vigolzone, dove sono ospitati a Villa Alberoni) per una pizzata tutti insieme. 
Li abbiamo incontrati – grazie all’intermediazione degli educatori coordinati dall’energica Giuliana Rapacioli – e abbiamo avuto la possibilità di constatare come una convivenza fra diverse culture, non solo sia possibile, ma auspicata dagli stessi ragazzi. Nonostante, in alcuni casi, nel paese d’origine i loro coetanei si combattano ferocemente armi in pugno. 
Il caso emblematico è rappresentato da Angelica e Samar, la prima israeliana, la seconda palestinese. Entrambe vivono e lavorano a Betania, dove sono le “mamme” di 108 bambini bambini orfani o abbandonati accolti in una grande casa. E’ qui che si occupano di loro, in una cittadina divisa da un muro sotto l’amministrazione palestinese ma, per vicinanza geografica, occupata dalle truppe israeliane. 
“Questa settimana è unica nel mondo. Sette giorni di pace, che fanno capire ai giovani di essere un seme per il futuro del pianeta. Qui imparano a collaborare e poi portano l’esperienza nel loro paese” dice Samar, per introdurci al progetto, al quale partecipa da anni. Dello stesso avviso Angelica, che vive in un kibbutz di frontiera: “Penso sia una benedizione questo evento, perché vivere con persone diverse che sono quelle ‘dell’altra parte’ è l’insegnamento più grande che possiamo avere. E un’amicizia vera si può creare, nonostante veniamo da realtà di paura, terrore e guerra vera e propria. Qui trovano l’abbraccio di tutti”. 

Radio Sound

E così, nelle stesse ore in cui decine di piccole bare sono state allineate nel piazzale antistante il comune di Ramallah, in Cisgiordania, per protestare contro le uccisioni di bambini palestinesi da parte dell'esercito israeliano durante l'operazione a Gaza, nel Piacentino si compie l’operazione inversa. Si celebra la vita e in comunione con gli altri. 
I temi di quest’annno, sul quale hanno riflettuto i partecipanti, sono stati “desiderio e sogno”. Due parole che, per molti di questi ragazzi, hanno assunto davvero un significato particolare. “La sfida è stata di fondo – ha spiegato l’educatrice Silvia Bonotto del Pime (Pontificio istituto missioni estere di Milano) – ma abbiamo scelto questi temi perché trasversali, nonostante le difficoltà siano state forti nell’animo di questi adolescenti”. 

Difficoltà superate, almeno stando al bilancio che hanno voluto fare ai nostri microfoni alcuni di loro. Emile, per esempio, israeliano della Galilea, non ha dubbi: “Siamo in un momento difficile ma questo testimonia che come abbiamo vissuto qui possiamo vivere anche in Palestina e Israele. L’importante è conoscere l’altro e spero di poter portare questa esperienza anche lì”. Gli ha fatto eco un’altra ragazza palestinese, che sogna di fare la giornalista per raccontare quel che accade davvero nella sua terra: “Questa esperienza è stata fantastica, per aver modo di dimenticare la situazione negativa dalla quale proveniamo. E incontrare persone diverse, non per la lingua o il colore della pelle ma per cultura”. 
E poi c’è chi, come padre Alberto Sanchez, missionario comboniano di origine messicana che lavora in Egitto, opera in un paese difficile ma da qualche tempo dimenticato dall’informazione: “Supporto un gruppo di giovani egiziani, per fargli conoscere cosa significa la tolleranza e l’accettazione delle didderenze. Questo è un ponte tra culture, per imparare a vivere con l’accettazione del diverso. Perché sono i giovani che guideranno il futuro, i prossimi leader, e se lavoriamo bene con loro vuol dire che stiamo lavorando bene per il nostro futuro”. 
Non è solo la guerra, comunque, che spinge questi ragazzi a partecipare alla Settimana della mondialità. Ce lo confermano le testimonianze di altri due giovani, provenienti da Polonia e Macedonia. “Parlare con gente di altre religioni mi è servito per crescere, culturalmente e spiritualmente – ha detto il ragazzo polacco -. E’ una bella esperienza, perché incontriamo persone di paesi molto lontani – ha aggiunto la macedone -. E qui cerco di portare l’esempio del mio paese, che riesce a mantenere una buona convivenza tra Occidente e Oriente”. 
Ma se ognuno ci ha riportato la sua esperienza individuale, chi tiene insieme l’intero progetto è Giuliana Rapacioli, vero deus ex machina di questo evento. Che, ha tenuto a precisare, non si risolve in una settimana: “Sì, perché il progetto educativo continua. La spinta è venuta da un gruppo di piacentini, che volevano insegnare ai nostri ragazzi che il mondo comincia al ponte del Po ma non finisce. Il nostro motto è ‘accogliere la differenza, temere l’indifferenza’. Il nostro slogan: i love difference”.