Intimidazione e paura vissute dalle ragazze costrette a prostituirsi, atteggiamento poco chiaro dei poliziotti nigeriani, telefonate in patria ai familiari delle giovani sfruttate chiedendo soldi per il loro rientro. Sono particolari emersi oggi nell’udienza che vede imputate cinque persone, a vario titolo per riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento e lesioni.
Oggi, davanti alla corte di Assise è stata ripercorsa la nascita dell’inchiesta svolta dalla polizia di Crema e di Piacenza e condotta dalla procura Distrettuale antimafia di Bologna, con il procuratore Luigi Orsi, oggi in aula a porre domande ai testimoni.
Il collegio, composto dal presidente Italo Ghitti, dal giudice Adele Savastano e dai giudici popolari ha ascoltato le deposizioni dei poliziotti della squadra Mobile di Crema e dei loro colleghi piacentini. E’, inoltre, venuta alla luce una novità positiva: la prima ragazza nigeriana che ha deciso di denunciare gli aguzzini e che ha permesso alla polizia di smantellare il giro e arrestare diverse persone. Nella vicenda è coinvolto anche un piacentino, accusato di aver affittato un appartamento a San Nicolò nel quale l’organizzazione portava le ragazza e dove ne ha tenuta sequestrata un’altra.
L’inchiesta era nata a Crema nel marzo del 2010. Le telecamere avevano ripreso una giovane nigeriana maltrattata in un giardino vicino alla stazione. Da qui, gli investigatori arrivarono a Piacenza. La squadra Mobile piacentina cominciò a indagare scoprendo un quadro di sfruttamento e di violenze sulle ragazze che venivano tenute in “ostaggio” con violenze, riti voodoo e minacce alle famiglie nel Paese di origine.
Da alcune intercettazioni telefoniche, si è scoperto che esisteva un traffico di donne dalla Nigeria all’Italia, ha spiegato il vice della Mobile, Roberto Berardo.
Le indagini avevano accertato l’esistenza di un meccanismo degno di una organizzazione criminale ramificata. Le giovani costrette sul marciapiede ricevevano intimidazioni. Le ragazze non temevano per loro stesse, ma per i familiari in patria. Un particolare emerso quando la giovane sfuggita agli aguzzini, e sistemata in una struttura protetta nel Nord, aveva raccontato che alla madre, con le minacce, erano stati chiesti 35mila euro per far tornare la figlia. Un fatto che venne segnalato in una nota alla polizia e di cui oggi Ghitti ha chiesto l’acquisizione.
La Mobile ha poi parlato dello strano atteggiamento di un poliziotto nigeriano, giunto a Piacenza con una collega, che sminuiva l’indagine trattando con sufficienza l’interprete e dicendo di non credere molto all’inchiesta, anche perché in Nigeria è un reato molto diffuso e non sempre perseguito.