Si parla spesso di cervelli in fuga dall’Italia. Nel nostro caso parliamo di un “cervello” piacentino prestato agli Stati Uniti d’America per il progetto del Presidente Barack Obama destinato a formare una nuova generazione di leaders per il futuro dell’Africa.Si tratta della YALI (Young African Leadership Initiative), un progetto quinquennale che prevede la creazione di quattro Centri Regionali di formazione in modo da “coprire” ogni Paese del continente.Ogni anno i Centri prevedono di formare tra i cinquecento e i mille partecipanti ciascuno sul posto; in più è previsto che altrettanti giovani leader africani vengano ospitati in università statunitensi per programmi più brevi di formazione e scambio.Ogni Centro seleziona i suoi docenti nel panorama internazionale, scegliendo tra i dirigenti dei grossi sponsor dell’iniziativa (imprese come Microsoft, General Electric, Procter & Gamble, IBM…) oppure persone in grado di apportare contributi unici e utili alle difficili sfide che attendono l’Africa nella costruzione del suo sviluppo.
È così che Federico Fioretto, consulente e formatore piacentino, specializzato in conflict management, leadership e sostenibilità strategica, si è ritrovato a essere uno dei due soli europei (l’altro un Inglese) tra i trainers del Centro YALI per l’East Africa, a Nairobi, in KenyaIl suo Metodo CASE© per la trasformazione dei conflitti e il decision making nelle imprese ha dapprima suscitato l’interesse di un’università del Maryland che stava elaborando un programma per lo YALI e il nostro è stato invitato a far parte della squadra. Poi il committente ha deciso di acquistare solo alcuni singoli programmi, tra cui quello di Fioretto.Ne è seguita la creazione in USA di una società ad hoc e la firma del contratto. “Un’esperienza enormemente stimolante”, ci dice Fioretto, “che mi ha portato a incontrare giovani imprenditori molto dinamici e leader della società civile impegnati in missioni coraggiose e lungimiranti provenienti da 14 Paesi”.Anche perché le classi della YALI non sono composte da giovani studenti; si tratta di formazione per leader, dunque sono persone già impegnate in ruoli imprenditoriali o manageriali oppure in organizzazioni della Società Civile.Come per esempio Sylvia Kawalaya, make-up artist di Kampala, Uganda: un’allieva che ha lasciato il segno nella memoria del suo insegnante. Partita da zero, come volontaria sui set fotografici per far pratica e farsi conoscere, per tutta attrezzatura un barattolo di fondotinta da un dollaro, successivamente impiegata di giorno, e donna delle pulizie di notte per arrotondare le entrate, in un centro estetico. Oggi Sylvia è al timone di Paramour Cosmetics, da lei fondata nel 2013 e già leader nel mercato dell’Africa subsahariana dei cosmetici femminili – la produzione però è in USA – oltre a essere la truccatrice personale di diverse first-ladies e star africane.
“Sylvia è una forza della Natura” racconta Fioretto “sembra un folletto: minuta, con una gran testa di capelli ricci che tiene al caldo un cervello da top executive e la gentilezza di una persona che ha appreso il servizio al cliente “sul campo”. Ama il suo lavoro e si preoccupa anche della qualità di vita delle donne africane; perciò Paramour organizza corsi di formazione per professioniste del make-up che includono anche l’empowerment femminile, in modo che le donne prendano cura non solo della propria estetica, ma acquisiscano anche cultura, indipendenza economica e libertà. Al mio ritorno da Nairobi l’ho messa subito in contatto con un produttore di cosmetici della provincia di Piacenza; chissà che non venga presto a conquistare anche l’Europa. Da Sylvia c’è da aspettarselo.”Imprese africane come partner commerciali per lo sviluppo della nostra economia: un bel cambio di prospettiva.
Un altro incontro importante che Fioretto ricorda con piacere è quello con uno studente della Repubblica del Congo, Vulcain Yengo. Cresciuto dai genitori insieme ai nove fratelli nella povertà – le entrate della famiglia raramente arrivavano ai 2 dollari al giorno – a 15 anni già si inventava un’impresa di commercio ambulante. Uno dei tanti fallimenti che ha raccontato senza timore alla Nduenga International Conference sull’imprenditorialità a Brazzaville, cui ha invitato il suo insegnante di Nairobi come ospite d’onore.Le difficoltà non l’hanno fermato e ha avviato un’attività dopo l’altra, fino a potersi permettere l’università e poi un MBA negli Stati Uniti.Ora è il leader carismatico di un’ONG con sede in America e in Congo per lo sviluppo dello spirito imprenditoriale nel suo Paese, ricco di risorse naturali ma con un tasso di povertà ancora insopportabile per questo giovane inarrestabile.Entraide, questo il nome dell’ONG, funge anche da incubatore d’imprese e il suo concorso di piani d’impresa ha già portato a finanziare alcune attività locali sostenibili e di successo.La conferenza Nduenga (che in lingua congolese significa un misto complesso tra saggezza, capacità di cavarsela e intraprendenza) ha concluso con successo la sua seconda edizione nel dicembre 2015 e ora attrae finanziamenti di milioni di dollari da primari sponsor internazionali, fiduciosi nel potenziale che questi giovani leader dinamici e preparati possono liberare in un continente in cui si costruisce il futuro dell’umanità.Da queste esperienze e incontri, conseguenza di un invito inaspettato a fine 2014, sono nate diverse collaborazioni internazionali che il nostro “cervello prestato” sta portando avanti con l’entusiasmo della scoperta e dell’incontro con un mondo giovane, in pieno fermento da sviluppo e grandi opportunità. Anche con una fondazione italiana che assiste gli investimenti delle imprese italiane in Africa con l’abbinamento a progetti di Master MBA locali.
L’Africa che Federico Fioretto racconta, dunque, è ben diversa di quella che siamo abituati a vedere nei telegiornali: ci sono opportunità, capacità, voglia di fare e risorse importanti, a partire dalla giovinezza della popolazione, certo non più da sfruttare in modo colonialistico ma da valorizzare insieme, come la Presidenza Obama ha capito mentre l’Europa ancora spende e spande nella missione impossibile di “chiudersi in casa”.