E’ l’ora di pranzo. Maria Grazia Guidoni ha appena vuotato nel bicchiere della madre malata Giuseppina Pierini un mix di barbiturici. Ma vuole essere sicura che il suo piano omicida funzioni. Chiama al tavolo anche il figlio Gino e la nonna anziana sulla sedia a rotelle e iniziano a giocare a carte. Nel frattempo versa nei bicchieri dei commensali una sostanza alcolica, lo fa per dare più “potere” al cocktail della madre: “Benvenuti alla festa del condannato” afferma sorridendo più volte. Crudelissima ironia. Poche ore dopo, al termine di un’azione di un’atrocità inaudita, la madre morirà.
E’ solo una delle parti del racconto che Gino Laurini, il figlio 22enne di Maria Grazia Guidoni e nipote della Pierini, ha fatto ai carabinieri di Follonica la sera del novembre scorso in cui decise di togliersi “quel peso dallo stomaco”. “Mia nonna non è scomparsa, l’ha uccisa mia madre”. Un delitto “agghiacciante” lo hanno definito il procuratore capo Salvatore Cappelleri, i piemme Michela Versini e Roberto Fontana titolari dell’inchiesta, e i carabinieri di Piacenza e di Follonica (con il maggiore Massimo Barbaglia e il tenente Marco Da San Martino) che hanno eseguito le indagini, nel riferire i dettagli sulla morte della 63enne pensionata che la mattina del 4 luglio 2012 era stata dichiarata scomparsa dalla sua abitazione di Pontenure.
Da mercoledì la 45enne Maria Grazia Guidoni è in carcere accusata di omicidio pluriaggravato premeditato (poiché commesso ai danni della madre, di un soggetto in stato di debolezza fisica e per motivi abietti) e di distruzione di cadavere. Anche stamattina (15 gennaio 2015) nell’interrogatorio di fronte al gip Giuseppe Bersani si è avvalsa della facoltà di non rispondere (è assistita dall'avvocato Cecilia Corsini di Grosseto). E’ la seconda volta in cui la donna si rifiuta di parlare di fronte agli inquirenti che tuttavia non hanno dubbi: “Gli elementi raccolti dicono inequivocabilmente che ad uccidere è stata lei”. La Guidoni è stata descritta come una donna “manipolatrice, malvagia, dalla personalità forte, in grado di soggiogare i figli e chiunque le fosse intorno”. Le stesse imputazioni, in concorso, sono state contestate anche al figlio Gino, il secondogenito dei quattro figli della Guidoni. Anche per lui la procura aveva chiesto la custodia cautelare, ma il gip ha ritenuto che non sussistessero né il pericolo di fuga, né la reiterazione del reato.
IL MOVENTE ECONOMICO LEGATO ALLA PENSIONE
“Un’indagine complessa perché effettuata a ritroso, cioè partendo dalla denuncia di scomparsa del 4 luglio 2012” hanno detto gli investigatori. Una denuncia che risulterà fondamentale per capire la personalità della Guidoni e il contesto famigliare; importante al pari del racconto “dettagliato e minuzioso” fornito da Laurini a tre anni di distanza da quella denuncia di scomparsa fatta dalla madre. Il movente del delitto è di natura economica e va a inquadrarsi in un contesto domestico fatto di presunti maltrattamenti dell’indagata nei confronti della Pierini, tra l'altro affetta da deficit cognitivo (in tempi più antichi la Pierini aveva anche denunciato la figlia per maltrattamenti). La Guidoni avrebbe deciso di uccidere la madre dopo che i servizi sociali, valutando appunto la situazione famigliare, incaricarono un amministratore di sostegno di curare i suoi beni, tra cui la pensione da 1800 euro al mese e alcuni immobili. Una pensione ghiotta che arrivava a 2100 euro assommando anche quella della nonna affetta da Alzheimer. Da anni la Guidoni si vedeva dirottare sul suo conto 1800 euro al mese e non avrebbe dunque digerito il cambiamento di status.
LA RICOSTRUZIONE DEL DELITTO E LA MACABRA FILASTROCCA
Torniamo al 3 luglio, giorno in cui la Pierini viene uccisa nell’appartamento di Pontenure. In base al racconto di Laurini, da qualche giorno la madre minacciava di ucciderla. “Non credevo volesse farlo davvero” ha detto il giovane “pensavo fossero solo minacce al vento”. Poi però, la mattina del 3 luglio, Laurini assiste alla preparazione concreta del piano. I barbiturici, il pranzo, la crudele festicciola durante la quale faceva l’inno alla “festa del condannato” . Laurini assiste attonito, non sa che fare. Qualche ora dopo averle somministrato la bevanda, la Pierini inizia a sentirsi male. Ma non muore. E’ per quello che la Guidoni, sempre in base al racconto, decide di attuare un metodo ancor più deciso: prova a soffocarla con un sacchetto di nylon, ma la pensionata non cede. “Ma allora non è come nei film?” si chiede. E’ al quale punto che il figlio le avrebbe suggerito di chiudere il sacchetto con del nastro. Al termine di un’agonia tremenda, la Pierini spira. Verso mezzanotte madre e figlio decidono di prendere il corpo senza vita della congiunta, lo avvolgono in una coperta e lo caricano nell’auto già pronta in garage. A bordo ci sono anche una zappa, una pala – queste ultime acquistate poche ore prima in un market della zona – dell’acido e del cemento. Viaggiano verso Massa Marittima (Grosseto), alla volta di un vecchio casolare, una volta di proprietà della famiglia tanto che la vittima ci visse fino a pochi anni prima. L’edificio, in mezzo alla campagna, è abbandonato e avvolto nell’oscurità. Provano a seppellire, ma scavare una fossa non è così semplice come pensava la donna. Con la zappa provano a farla a pezzi (sul cranio segni di lesioni) e la cospargono di acido. Poi salgono al primo piano del casolare e decidono di gettarla in mezzo ai rovi. Risalgono in auto e all’alba del 4 luglio sono di nuovo a Pontenure. Poche ore dopo, alla caserma dei carabinieri del comune piacentino, viene denunciata la scomparsa della donna. Per mesi la Guidoni continuerà a ricevere ancora la pensione della madre visto che la denuncia di scomparsa mette fuori gioco assistenti sociali e amministratore di sostegno. Sarà quest’ultimo ad accorgersi che non aveva denunciato la scomparsa all’Inps e ad interrompere così l’erogazione del denaro sul conto della Guidoni.
TRE ANNI DI SILENZIO FINO ALLA DENUNCIA DI LAURINI
Passano tre anni. Tre anni di silenzio. Nel frattempo la famiglia, che era venuta a Piacenza per cercare fortuna, decide di tornare nella sua terra d’origine in Toscana, precisamente a Monterotondo. I rapporti tra la Guidoni e il figlio Gino, non certo ottimali, si deteriorano quando quest’ultimo decide, nel settembre scorso, di andare a lavorare nella ditta del secondo marito della madre con la quale quest’ultima aveva interrotto bruscamente i rapporti. Una decisione che manda su tutte le furie la donna, la quale caccia letteralmente e in modo brusco il figlio di casa. Sono le 18 del 12 novembre 2015 quando Gino Laurini bussa alla porta dei carabinieri di Follonica. “Ho un peso sullo stomaco” dice ai militari conducendoli al casolare.
I DUBBI SULLA MORTE DELLA BISNONNA
L’indagine si è avvalsa delle strumentazioni tecniche, come le intercettazioni telefoniche, e dei rilievi medico legali che hanno confermato come i resti ossei fossero effettivamente della Pierini. Ma c’è un ulteriore aspetto inquietante in una storia già di per sé crudissima: i sospetti che sembrano nascere tra gli inquirenti circa le cause della morte della bisnonna, avvenuta a pochi mesi di distanza dall’uccisione della Pierini. “A questo punto mi vengono dei dubbi anche sulla fine di mia nonna” ha dichiarato il fratello della Guidoni agli investigatori.