Delitto del trolley: “Sembravano bravi ragazzi, poi vidi quello strano zaino”

"Non riuscivamo a capire perché avessero nello zaino tutti quegli strani oggetti. A guardarli, in fondo, sembravano due bravi ragazzi". Così l'assistente scelto della polizia di Piacenza Francesco Stasi nel processo in Corte d'Assise a Milano che vede come imputato Gianluca Civardi, il 31enne piacentino accusato – insieme con l'amico Paolo Grassi già condannato all'ergastolo – dell'omicidio del professore milanese di Estetica Adriano Manesco, l'ormai famigerato "delitto del trolley" avvenuto il 7 agosto 2014. Insieme a un collega, Stasi fu il primo agente che quella sera in via Nasalli Rocca fermò la Fiat Seicento su cui viaggiavano i due imputati. L'agente venne inviato in zona a seguito della segnalazione alla centrale operativa di un'anziana insospettita dall'aver visto due giovani "disfarsi in piena notte dei vestiti e buttarli in un cassonetto della spazzatura". 
Giunto appena in tempo sul posto e individuata l'auto che stava lasciando il luogo imboccando via Manfredi, il poliziotto volle approfondire l'ispezione nell'abitacolo della vettura. Intuizione acuta e fondamentale per le indagini. In aula, di fronte alla corte presieduta dal giudice Guido Piffer (giudice a latere Ilaria Simi) e al piemme Maria Teresa Latella, l'agente ha così ricordato quel passaggio iniziale delle indagini, quando ancora non era stato scoperto nulla, e soprattutto ha riferito del contenuto dello zainetto sequestrato.
"Sembravano nervosi e allora chiesi di farmi vedere lo zaino che spuntava da sotto il sedile – ha detto Stasi – Mi dicevano di stare tranquillo e così mi sono insospettito ancora di più. Trovammo all'interno una pistola giocattolo, due taser, manette, corde, grimaldelli, fascette, due bastoni telescopici. Poi sul sedile posteriore c'era il computer portatile intestato a un professore milanese, Adriano Manesco, e aperto sulla sua pagina facebook. Sulle prime ipotizzammo un sequestro di persona. Comunque fosse, capimmo che a quest'uomo poteva essere successo qualcosa di grave". 
Stasi ha poi ripercorso le fasi del sopralluogo al Capitolo dove Grassi e Civardi, stando alle indagini, avevano affisso in maniera posticcia una cassetta della posta con il nome di Manesco "che si vedeva non era uguale alle altre". E' lì che i due, una volta commesso il delitto e spacciandosi per il professore, avevano intenzione di far confluire la documentazone bancaria per poi, forse, accaparrarsi il denaro del professore amante dei viaggi in Oriente. 
In aula Civardi è apparso tranquillo e più volte ha suggerito qualcosa agli avvocati difensori Francesca Cotani e Andrea Bazzani. Lo stesso imputato ha voluto rendere spontanee dichiarazioni per negare la paternità dell'agendina, e della calligrafia, che la polizia trovò quella sera sull'auto e sulla quale vi erano riportati tutti i recapti del professore fatto a pezzi, compresi dati e password del conto che Manesco aveva aperto alla banca milanese Etruria.
E' toccato poi al collega, l'ispettore Lorenzo Riezzo, ricostruire invece le fasi della perquisizione domiciliare avvenuta nella casa di Fiorenzuola dove Civardi viveva con i genitori e la sorella. Qui gli inquirenti hanno trovato altro materiale ritenuto utile alle indagini. "Trovammo coltelli di ogni tipo, una miriade di volumi e manuali di sopravvivenza e di tecniche di combattimento. Ricordo che fummo molto colpiti da una voluminosa collezione di dvd di Hostel, una serie di film basato sulle torture". Ha poi deposto, oltre all'ispettore superiore Paolo Ferri, l'ispettore piacentino Matteo Bongiorni che effettuò invece il sopralluogo a Lodi dove in un altro cassonetto vennero trovati il trolley contenente il cadavere sezionato e tanti sacchetti di cellophane. Il collega della squadra mobile di Lodi Attilio D'Agostini ha riferito del macabro contenuto: "Quel trolley era pesante, fummo costretti a rovesciare l'intero cassone. Il cadavere decapitato e senza mani era contenuto all'interno della valigia in posizione fetale. Nei sacchetti trovammo poi le interiora del professore e le mani senza polpastrelli, incisi forse per evitare che fossero prese le impronte digitali. Poi trovammo anche una mannaia, un martello, un seghetto, dei coltellini e delle pinze". Su alcuni di questi strumenti, come hanno confermato gli assistenti capo della questura di Piacenza Luigi Bianconi e Genesio Di Lorenzo, entrambi della Scientifica, sono state trovate tracce di sangue. Sono stati invece i poliziotti della Mobile di Milano Antonia Piero e Antonello Catulli, quest'ultimo sovrintendente della squadra Omicidi, a riferire dell'esito dell'ispezione nella casa milanese di via Settembrini dove Manesco viveva con il domestico filippino Perez (che spesso pernottava nell'appartamento e che dunque disponeva delle chiavi, ma che risulta estraneo ai fatti) e dove materialmente si consumò il delitto. "A una prima occhiata l'appartamento sembrava tutto perfettamente pulito e in ordine – ha detto Catulli – poi però ci accorgemmo di una impronta di sangue palmare sullo stipite della porta del bagno. Così guardammo in maniera più approfondita e individuammo altre macchie di sangue più piccole sul pavimento e una strisciata sospetta nel corridoio, lasciata forse nel tentativo di ripulirla". Una perquisizione che portò alla luce anche quanto venne gettato nel bidone delle immondizione condominiale: guanti, un coltello a serramanico, rotoli di domopack imbrattati di sangue, strofinacci. Nel corso dell'udienza è emersa anche la figura della tassista che dopo il delitto condusse Grassi e Civardi da Milano a Lodi. "Quando interrogammo la donna – ha ricordato l'agente Piero – ci riferì di aver caricato due ragazzi che avevano con sè un sacco di valigie, uno dei quali chiesero di collocare nel bagagliaio. Si ricordò anche che nel tragitto chiesero se potevano aprire i finestrini". 

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