Staffetta con il “Tondo di Botticelli” e “La Madonna dei fusi” tra Piacenza e Tokyo. Ormai quella con la capitale nipponica è una vera e propria collaborazione stabile, tanto che, in attesa della restituzione del capolavoro in trasferta, a palazzo Farnese verrà esposto il dipinto della scuola leonardesca.
La presentazione, martedì 24 marzo, presso la sala del Consiglio comunale in Municipio. Qui era stato illustrato lo spazio espositivo dedicato al dipinto “La Madonna dei Fusi”, che oggi (27 marzo) è stato inaugurato a palazzo Farnese e visitabile già dai prossimi giorni. Ad illustrare i dettagli dell’iniziativa, la direttrice dei Musei Civici Antonella Gigli e Marco Horak, in rappresentanza della Fondazione omonima proprietaria della tela, attualmente conservata a palazzo Costa e considerata uno dei più enigmatici e misteriosi modelli pittorici di Leonardo da Vinci.
“Ha un significato simbolico, perché è una rara iconografia di Leonardo e dei suoi seguaci. Inoltre per Piacenza nel 2016 ci sarà l’ occasione, nell’ambito dei 150 di rapporti Italia-Giappone, per portarlo al Metropolitan di Tokyo – ha spiegato Antonella Gigli -. Questo, si spera, ci potrà portare sempre più visitatori in città in futuro. Anche il sito ‘Piacere Piacenza’, infatti, verrà tradotto a breve in giapponese”.
Insomma, in attesa del ritorno del Tondo, presentato durante la mostra “Denaro e Bellezza: Botticelli e il Rinascimento fiorentino”, che dal 21 marzo vede tra i capolavori esposti al Bunkamura Museum della capitale nipponica anche il capolavoro custodito in città. presso i Musei Civici di Palazzo Farnese non si rimane con le mani in mano.
“E’ un’opera estremamente importante, perché sono conosciute alcune versioni, anche se nessuna può essere definita quella originale. Si parla di qualche intervento per mano di Leonardo – ha detto Marco Horak -. Comunque attendiamo, se non nell’immediato, l’arrivo di sempre più turisti giapponesi nel Piacentino. L’ultimo dato dell’Ente del turismo parla di 2 milioni e 867mila nipponici in Italia in un anno. Dato del 2013, che aumenterà in vista di Expo, per cui ci accontenteremmo anche solo di una piccola parte di questi visitatori”.
L'inaugurazione alla cittadinanza oggi pomeriggio, 27 marzo dalle 17.30 nella Cappella Ducale di palazzo Farnese, alla presenza del sindaco Paolo Dosi e dell'assessore alla Cultura Tiziana Albasi.
Madonna dei fusi, bottega di Leonardo da Vinci, olio su tavola trasportato su tela, cm. 50 x 63 ca.
Piacenza, Palazzo Costa – Fondazione Horak
La Madonna dei fusi è universalmente considerata come uno dei più enigmatici e misteriosi modelli pittorici leonardeschi, infatti nessuna delle diverse versioni conosciute può essere ritenuta pienamente autografa di Leonardo da Vinci. Non è pertanto da escludersi che una Madonna dei fusi dipinta interamente da Leonardo non sia mai esistita e che quelle realizzate siano quindi le versioni dei suoi collaboratori, come riferisce Costantino d’Orazio in “Leonardo segreto”, pagg. 139 e ss., Milano 2014. Sembra, infatti, che alla realizzazione delle varie versioni note possano essere intervenuti il Salai (Gian Giacomo Caprotti, 1480-1524, detto appunto Salaino, ma anche Salaì o Salaij, ossia “il diavolo”, nel gergo del tempo) ed altri discepoli che frequentavano la bottega di Leonardo, fra i quali in particolare Francesco Melzi. Detta considerazione, ormai condivisa dalla maggioranza degli studiosi, trova pure riscontri in una lettera che Frà Pietro da Novellara, vicario generale dei carmelitani, spedì il 14 aprile 1501 a Isabella d’Este, per conto della quale ricopriva l’incarico di agente artistico a Firenze. Pietro da Novellara descrive molto accuratamente la Madonna dei Fusi iniziata da Leonardo per il segretario del re di Francia Florimond Robertet. Il dipinto è conosciuto in diverse versioni, fra cui quella piacentina di palazzo Costa. Le più note fra tali versioni sono quella presente in una collezione privata di New York, già collezione Lansdowne e quella della collezione del duca di Buccleuch, attualmente esposta alla National Gallery di Edimburgo. Tuttavia, entrambe tali celebri versioni non corrispondono alla descrizione di Pietro da Novellara in un dettaglio importante: Gesù Bambino non poggia affatto il piede in un cesto pieno di fili. E’ proprio questo particolare a rendere interessante sotto il profilo iconografico la Madonna dei fusi di Piacenza perché la stessa è tra le poche versioni a presentare il particolare del cestino intrecciato (in questo caso ricolmo soprattutto di fiori), mentre nei due dipinti più noti, così come in altre versioni meno conosciute, non vi è traccia della presenza del cestino, particolare specificatamente ricordato da Pietro da Novellara nella lettera a Isabella d’Este. La presenza del cestino rende pertanto la versione piacentina di grande interesse per lo studio della Madonna dei fusi, ma vi è un altro aspetto iconografico da segnalare: il paesaggio non si presenta come nella variante newyorkese, che si caratterizza per uno sfondo roccioso che ricorda quello del ritratto di Monna Lisa, e neppure come nella versione Buccleuch, caratterizzata da uno sfondo marino, ma presenta alla destra della Madonna una piccola scena con tre personaggi, probabilmente Maria con la madre Sant’Anna e San Giuseppe intento a costruire una sorta di “seggiolone” o “girello” destinato al Figlio adottivo, anch’Egli presente in fasce. E’ importante segnalare che la scena descritta si ritrova pure in quello scozzese della collezione del duca di Buccleuch, ma al di sotto delle massicce ridipinture di epoca posteriore che caratterizzano il paesaggio, come risulta dagli esami di laboratorio eseguiti sull’opera e consistenti in riflettografia all’infrarosso ed indagini ai raggi x. Analogamente anche nella versione newyorchese, al di sotto del paesaggio roccioso, si presenta una scena del tutto simile a quella della versione piacentina, scena resa visibile attraverso la riflettografia all’infrarosso, come riferisce lo Zollner in “Leonardo da Vinci”, Koln, 2007, scheda XXIII, pag. 238. Tra le varie versioni note della Madonna dei fusi, quelle che più si avvicinano sotto il profilo iconografico alla variante piacentina sono probabilmente quella proveniente dalla Wood Prince Collection e battuta da Christie’s New York il 28 gennaio 2009 e quella di proprietà della National Gallery of Scotland di Edimburgo.