Torna dopo la pausa delle feste Poetry Break! Intanto grazie a Radiosound di essere qui ancora quest’anno con questa insolita rubrica per un’emittente radiofonica dedicata alla poesia, e poi ancora a tutti i miei migliori auguri di buon anno.
Ho pensato di dedicare una lirica scritta diversi anni fa da me ( contenuta in “come la luna di giorno come la luna di notte”) dedicata all’inverno in cui siamo ormai entrati completamente e alla mia citta, Piacenza
Eccola, letta da Anna Rosa Zanelli e Omar Giorgio Makhloufi.
Quando nevica a Piacenza
Quando nevica
mi sento ancora più indifesa
nella mia città
Come se Piacenza
ancora una volta
non volesse proteggermi
da nulla e da nessuno.
Non ci sono portici
e la neve infradicia
i cappotti, i capelli.
Quando tira il vento
si inclinano gli ombrelli
e nessuno si guarda in faccia,
nessuno si vede e si saluta.
E si ha sempre freddo,
dentro e fuori.
Strana la mia città,
non sembra neanche emiliana.
Sorridenti i bolognesi
che camminano all’asciutto,
nei loro lunghi corridoi,
signorotti di un palazzo ospitale
e un po’ borioso.
Lungo queste lussuose
strade con il soffitto
potrebbero passeggiare
anche con le scarpe da ballo
e improvvisare una mazurca
mentre fuori c’è un acquazzone
o quando il Nettuno
è ancor più candido di neve.
Il piacentino cammina e cammina
tra le sue strade strette,
i pugni stretti
e gli occhi stretti
di gente abituata
a farsi strada tra la nebbia.
Guarda in terra
e pensa chissà a cosa,
al vivere concreto
di ogni giorno
oppure all’altrove
bello e irraggiungibile.
E’ dura la vita
e lui, animale senza riparo,
lo sa più degli altri.
( Giusy Cafari Panico)
L’ispirazione mi è nata frequentando per qualche anno la provincia di Bologna e Bologna stessa. Non potevo fare a meno di confrontare i portici delle città dell’Emilia più profonda, così ampi e lunghi, dove la gente può permettersi di camminare anche quando nevica e piove, e chiacchierare, ridere, noncuranti delle intemperie, con i pochissimi di Piacenza. Una città emiliana dove non ci si può riparare. Una città quindi dove la gente deve continuamente ripararsi, aspra, fredda, dove il carattere della gente deve per forza fortificarsi ed ergere un’apparente corazza. A tutti i piacentini, infreddoliti e così “strani” come emiliani, così sempre un po’ sofferenti, se fossimo a Genova, direi con quelle facce un po’ così, ma pieni di umanità, nascosta sotto gli strati di difesa dal freddo ma anche, chissà, da un po’ di diffidenza per un mondo che non è mai facile, il mio saluto più affettuoso.
Allora ciao Piacenza infreddolita e ciao anche a tutte le persone che devono farsi strada tra le nebbie della vita senza perdersi d’animo.
Alla prossima!!!