Gli indiani di religione Sikh non si separano mai dal pugnale Kirpan. Non possono farlo perché costituisce uno dei cinque simboli religiosi che sono obbligati ad avere sempre addosso fin dal battesimo (insieme con barba e capelli lunghi, mutandoni, turbante e pettine). Eppure Singh Talbinder, 46enne di Cortemaggiore, presidente provinciale dell’associazione Guardawara sri guru nanak parkash che riunisce i fedeli sikh del Piacentino, è finito nei guai proprio a causa del Kirpan gelosamente custodito sotto la camicia, come vuole il suo culto. Il 5 luglio del 2013 era alla guida della sua auto in Valluretta quando venne fermato dai carabinieri di Agazzano per un controllo. I militari scoprirono il pugnale e gli contestarono il possesso ingiustificato di arma. A nulla valsero le spiegazioni dell’indiano legate alla professione di fede. Talbinder fu indagato e qualche giorno fa rinviato a giudizio dal sostituto procuratore Emilio Pisante il quale lo processerà il prossimo 5 novembre. Lo difenderà l’avvocato Michela Cucchetti del foro di Piacenza.
Un caso non isolato, per la verità, che conta già alcuni precedenti avvenuti nel nostro Paese e sul quale la giurisprudenza è divisa. Se in Italia la materia del possesso del Kirpan è piuttosto controversa, in altri Stati come Canada, Inghilterra e Francia l’avere addosso il pugnale simbolo della lotta contro il male non costituisce in alcun modo un reato. Talbinder si fa scudo però con una sentenza del tribunale di Cremona che nel 2007 scagionò un altro indiano sikh per un fatto analogo. In base al dispositivo della sentenza, il giudice riconobbe il pugnale Kirpan “come segno distintivo nonché modalità di espressione dell’appartenenza religiosa”, libertà religiosa difesa dall’articolo 19 della Costituzione. Secondo il magistrato in questione, dunque, il possesso del pugnale non costituisce reato.
“Non è un oggetto d’offesa, ma semplicemente simbolico ed ornamentale” ha spiegato ai nostri microfoni Talbinder che ora confida nella clemenza del giudice piacentino.