Scoprirsi “rottamatori” a 92 anni. Sembra essere il caso del senatore piacentino Alberto Spigaroli, classe ‘22, che ha accolto con entusiasmo il via libera da parte del consiglio dei ministri al disegno di legge costituzionale che prevede la riforma del Senato, ovvero la sua trasformazione in camera non elettiva composta da rappresentanti di Regioni e Comuni. Spigaroli, che a palazzo Madama ha svolto la sua attività per tre legislature a partire dal 1968 (e una da parlamentare nella VII legislatira, ndr) è sicuramente voce illustre nel panorama politico piacentino e, nonostante abbia fatto parte della cosiddetta “casta”, non ha dubbi nel ritenere “un passo decisivo” questo provvedimento. Lo abbiamo intervistato e, a sorpresa ma forse non troppo per chi lo conosce, è apparso molto più in linea con il rampante premier Matteo Renzi di tanti politici con qualche anno in meno, sia politicamente che all’anagrafe.
Senatore, cosa ne pensa dell’ok del governo al ddl che potrebbe mettere fine a un dibattito 30ennale?
“Sono favorevole, perché effettivamente era un doppione. Del resto avviene già in altri paesi, come Inghilterra e Germania. In questo modo si determina un più rapido iter delle leggi, perché per lungo tempo non venivano approvate, soprattutto a causa della stagnazione in Senato, che applicava modifiche o le tratteneva perché non ritenute opportune. E così, anche se sono stato al Senato e dovrei difendere l’istituzione della quale ho fatto parte, obiettivamente un’accelerazione dell’attività legislativa è utile. Bene che venga soppresso e al suo posto nasca un’altra istituzione che può dare solo pareri, i quali sono comunque utili”.
Quindi è d’accordo anche con la sua trasformazione in “Senato delle autonomie”?
“Sì, come in Inghilterra la Camera dei Lord. Non fanno leggi ma intervengono per determinati temi e argomenti a dare un orientamento. Mi pare che la presenza di rappresentanti di regioni e comuni sia una cosa buona, tutto sommato. E poi a costo zero, il che è notevole, perché il costo era elevato, anche se non più di quello della Camera. Apprezzo anche la presenza di 21 cittadini scelti dal presidente della Repubblica, lo vedo con favore, perché potranno dare contributi sul piano tecnico e rendere più efficienti ed efficaci le leggi che vengono trattate dalla Camera”.
E di Matteo Renzi, invece, che ne pensa? Il suo decisionismo sembra portare alcuni frutti?
“Renzi ha portato un soffio di vitalità, in quella che è stata definita una ‘palude’, cioè nel grigiore dei governi che si sono succeduti in questi anni. E poi sembra avere la capacità di fare riforme radicali, aspetto che è mancato, senza parlare del periodo berlusconiano, anche in altri momenti della storia recente. Non escludo possa trovare sul suo cammino qualche trappola, anche se forse deciderà a un certo momento di andare a elezioni. Comunque, per conto mio, l’unico difetto è che potrebbe non riusucire a realizzare nei tempi stabiliti quel che ha promesso. Ha dato delle scadenze troppo imminenti, è stato troppo autocelebrativo. Non è vero che certe cose non sono mia state fatte, però il dare l’idea che si stia muovendo in determinate direzioni, superamento del Senato, legge elettorale e così via, dimostra che c’è la volontà di cambiare. Questo viene apprezzato dall’opinione pubblica. E se non riuscirà nei suoi intenti è perché ci saranno congiure da parte di chi ha interessi a non cambiare”.
Se non conoscessimo la sua carta d’identità e la lunga militanza politica e nelle istituzioni, sembrerebbe parlare da vero e proprio “rottamatore”.
“Sono nelle condizioni di avere un giudizio libero, non ho interessi politici e posso vedere le cose in maniera equilibrata e anche rispondente alle esigenze del paese. La sua è stata una ventata che suscita molto interesse, ormai anche da parte di chi inizialmente gli era ostile. Ora, oggettivamente e onestamente, non si può che avere giudizi positivi. Sono progetti sentiti ed apprezzati, senza dimenticare altri problemi, come quello di diminuire gli stipendi dei manager di società pubbliche. Sarebbe tutto a vantaggio dello Stato di portare a valori ragionevoli questi stipendi, parificandoli a quelli del capo dello Stato. Ormai è diventato un problema morale: come si può pensare che ci sia gente che deve vivere con 500 euro al mese ed altri con 800mila euro se non di più all’anno? La democrazia ne risente moltissimo, sono dislivelli negativi e per me è fondamentale cambiare, prima di tutto dal punto di vista morale”.
Ma non sono mancate reazioni alla riforma anche di altri due ex senatori, come Massimo Poledri della Lega Nord e antonio Agogliati di Forza Italia. E, come comprensibile visto il loro attuale impegno politico, i commenti sono stati ben più critici.
Polledri: “Già nel 2005 la Devolution prevedeva la trasformazione del Senato in Camera delle regioni e la riduzione dei senatori in 300 elementi. Il partito di Renzi, allora, votò no. Oggi ripresentano qualcosa di fatto peggio, senza competenze precise, conun Pd spaccato e un ministro che dice al presidente del Senato ‘tu sei stato messo da noi e devi obbedire’. Mi sembra una caduta di stile e un modo di concepire la democrazia che neanche il peggior Berlusconi ha mai raggiunto a questi livelli”.
Agogliati: “Hanno la memoria corta, perché già nella mia legislatura, nel 2005, votammo per il cambiamento del Senato. Se si vogliono cambiare le cose bisogna farle. Poi ci fu la consultazione referendaria che non passò. Se avrà una evoluzione positiva non lo so, però dev’essere fatta. Il cambiamento e lo snellimento non può essere fatto solo a parole. Sono d’accordo con Berlusconi, perché l’ha voluta lui, d’accordo con Renzi, per modernizzare l’impianto istituzionale dello Stato”.