Per il Partito Democratico si profila una gestione collegiale da qui fino a settembre, mese in cui dovrebbe celebrarsi il congresso, con poteri nelle mani dell’esecutivo. Sembra essere questa la via più sicura (e caldeggiata) per uscire dall’impasse che si è creato dopo le dimissioni del segretario Vittorio Silva e del suo vice Marco Bergonzi. Come già anticipato da tempo i due hanno formalizzato ieri l’abbandono dei rispettivi incarichi. Silva per motivi personali, a brevissimo tornerà nei ranghi della Provincia come tecnico; Bergonzi per sovraesposizione negli ultimi tempi. Tuttavia proprio a loro è stato dato mandato di raccogliere, nel giro di qualche giorno, le impressioni sul da farsi. E come detto si fa largo l’ipotesi che a gestire questa fase di transizione non sia una singola persona bensì l’esecutivo di cui, fra gli altri, fanno parte Stefano Borotti, lo stesso Marco Bergonzi e la presidente dell’assemblea provinciale Giulia Piroli. Questa soluzione ha sembrato mettere tutti d’accordo. Una specie di pacificazione in vista di un congresso che si annuncia incandescente. Gli appelli a porre fine a una lunga stagione dominata da personalismi e frizioni varie paiono destinati a fare la solita fine visto che le contrapposizioni si sono fatte ancora più evidenti. Il caso delle nomine in Iren ha creato una profonda divaricazione non solo nel partito, ma addirittura nella giunta Dosi. Nelle dinamiche interne pesano i gruppi di potere che si sono consolidati nel decennio di governo Reggi. Tanto che c’è chi non esita a parlare di gruppo del “tortellino magico”. Una versione nostrana del “tortello magico” emiliano romagnolo.