Quando abbiamo visto la foto della Camera praticamente vuota durante la discussione sulla ratifica della convenzione di Istanbul, che finalmente riconosce la violenza contro le donne come violazione dei diritti umani, abbiamo provato un senso di rabbia. Di rabbia e, purtroppo, di frustrazione, di rassegnazione. (La bella notizia è che almeno poi c’è stata l’approvazione.)
Possibile che un tema di tale importanza venga puntualmente snobbato, sminuito, investito di una retorica che, purtroppo, non è più solo retorica, ma pura realtà?
Viene da sorridere quando, nell’udire il termine femminicidio, il pensiero di molti uomini (ma purtroppo anche di molte donne) vada all’immagine di femministe un po’ hippy che bruciano i reggiseni e rivendicano diritti che hanno già, pur di rompere un po’ le scatole.
Purtroppo il femminicidio c’è. Esiste. Tanto per citare qualche recentissimo titolo di giornale:
Sedicenne uccisa, oltre venti le coltellate.
Sedicenne uccisa, il fidanzato confessa:”L’ho accoltellata, poi l’ho bruciata”.
Sestri Levante: 34 coltellate alla ex.
Lodi: uccide ex compagna a coltellate. La perseguitava da un anno.
Donna assassinata in strada nel comune di Poggiomarino.
Accoltella la moglie e la suocera al culmine di una lite per la separazione.
Di chi è la colpa? Della società, che continua a proporre una mercificazione del corpo femminile? Degli uomini, incapaci di tollerare che una donna possa avere una coscienza e lasciarli o anche solo dire di no a un rapporto sessuale? Delle donne che troppe volte, per amore o per paura, non denunciano? Delle madri, che non sanno educare i loro figli al rispetto della donna?
Chissà. Sicuramente un insieme di fattori. Fatto sta che solo nell’ultimo anno si è parlato di femminicidio. Sembra che le donne siano state uccise solo nell’ultimo periodo. Purtroppo non è così. E’ che oggi è un caso mediatico. Parlare di femminicidio fa audience, ma troppo spesso ci si dimentica che dietro quella parola ci sono centinaia, migliaia di donne ammazzate in tutto il mondo. E poco importa che fossero fidanzate, amanti, prostituite, casalinghe, avvocati, professoresse, impiegate, zie, mogli, madri, nipoti. Uccise solo perché donne. E molto spesso da una persona che diceva di amarle.
E se cominciassimo dalle piccole cose? E se prendessimo sul serio la proposta che Lia Celi ha fatto qualche giorno fa su Facebook e che riteniamo di grande impatto, nella sua semplicità?
“Se anziché cose tipo ‘in Italia una donna su tre subisce violenza dal partner’ dicessimo ‘un uomo su tre fa violenza alla partner’ cambieremmo la prospettiva. Anziché fermarci alla pietà per le vittime cominceremmo a interrogarci con più urgenza su come fermare i colpevoli.”