L’Italia dei valori non ci sta. La riconferma di Paola Beltrani come assessore dopo la sua uscita dall’Idv ha lasciato l’amaro in bocca ai dipietristi che tornano all’attacco con un duro comunicato del consigliere provinciale Luigi Gazzola. Gazzola non esita a definire la riconferma della Beltrani da parte del sindaco Paolo Dosi “ignobile” e parla di “trionfo del trasformismo”.
IL COMUNICATO DI LUIGI GAZZOLA
I problemi grossi e veri sono quelli dei lavoratori di Atlantis, di tanti che sono nelle loro condizioni e degli invalidi totali che si vedranno ridotta la pensione nell’indifferenza pressoché totale dei politicanti di mestiere.
Di piccole storie ignobili come quella che ruota intorno ad una poltrona di assessore nella giunta comunale ve ne sono state molte in questo paese e ve ne saranno purtroppo ancora. Non per questo si deve fare finta di niente. I toni e le asprezze che l’accompagnano dipendono dall’essere forse un unicum, non si ricorda un precedente analogo a Piacenza. Colpisce semmai che abbia per protagonista una donna. Una figura che nell’immaginario collettivo si vorrebbe in grado di rappresentare un segnale di novità della politica, di portarvi una ventata di freschezza slegata dalle antiche e ormai intollerabili logiche della politica al maschile.
Chi ama i riferimenti letterari sa che la realtà è diversa dalle favole, dietro l’angolo ci sono sempre un gatto e una volpe pronti a sfruttare l’ingenuità di chi è subito pronto a tuffarsi con voluttà nel paese dei balocchi cacciando in un angolo il grillo della propria coscienza e l’etica dei comportamenti.
L’etica del resto, che trova il proprio fondamento per chi amministra la cosa pubblica nell’art. 54 della Costituzione laddove si evocano “disciplina ed onore”, in Italia è roba da convegni e per anime belle. E’ il fine che da sempre in politica giustifica i mezzi e i modi. Ed è questo che rende la politica attuale e tanti di coloro che se ne occupano ormai insopportabili agli occhi delle persone.
Accanto al rigore in economia servirebbe iniettare nella politica nostrana sane dosi di rigore calvinista mentre purtroppo assistiamo al trionfo di un vetero trasformismo propalato a piene mani proprio da chi si candida a rappresentare l’alternativa ad una stagione, quella del berlusconismo, la cui mala pianta sembra aver infestato gran parte del terreno politico.
La vicenda locale offre lo spunto per considerazioni più generali.
Se è perfettamente legittimo, ed in una democrazia matura anche auspicabile, che un elettore deluso possa orientarsi diversamente fino a scegliere uno schieramento diverso, quando ciò accade a esponenti di partito di primo piano, con una certa frequenza ed un eccesso di disinvoltura, il fenomeno diventa inquietante.
Non sembra politicamente etico che chi abbia ottenuto incarichi si sfili dagli impegni assunti (anche) nei confronti degli elettori e ricerchi solo di mantenere un posto al sole adducendo risibili giustificazioni e non le autentiche ragioni del salto del fosso. Per chi ha incarichi politici di rappresentanza, il passaggio da un campo ad un altro integra un comportamento – benché legittimo – almeno sospetto, che svilisce un principio fondamentale della democrazia liberale: quello di responsabilità. L’irresponsabilità che ne deriva è la condizione migliore per non interrogarsi sulla coerenza tra fatti e valori, tra regole e comportamenti, tra il prima e il dopo; ciò che determina un funambolico ma anche sfrontato relativismo dei principi.
I valori diventano relativi e discutibili secondo il proprio punto di vista: il vero si confonde con il falso, il giusto con l’ingiusto; e si può ben finire per confondere chi è leale con chi tradisce. Anche Giuda lo pensava di Gesù Cristo.
Questa doppiezza produce un’immagine di sè apparentemente innovativa nelle formule politiche e verbali ma estremamente immobile nei comportamenti e nella cultura politica. Nel difendere una concezione latifondista della politica ciò che importa è unicamente la rendita (di posizione) da ricavare.
Il trasformismo è anche manipolazione della realtà: ciò che è stato non è mai avvenuto o è avvenuto per ragioni diverse da quelle palesi. La doppiezza sta nel rovesciamento di significato del proprio operato, nobilitato e rivendicato apertamente: una sofisticata retorica lessicale ne fa percepire una sostanza diversa, gradevole, condivisibile. La manipolazione della realtà consegna al manipolatore un’immagine opposta: di chi – finalmente – non è doppio ma parla e agisce senza ipocrisie; di chi sa agire prendendosi le proprie responsabilità.
Ieri sentinelle del vecchio e oggi profeti del nuovo. Pifferai magici alcuni, dietro cui si accodano altre mediocri doppiezze: personaggi già visti e già noti, usi sgambettare e squittire dietro altri potenti. Stessa voce, stessa prosopopea: navigati mercenari, comparse fisse delle salmodianti processioni del Potere.
Il rimedio all’affacciarsi dei tentativi di costituire nuove cospicue rendite di posizione sta in un processo di autentica rivoluzione civile. Un conto insomma è che all’inizio del terzo millennio ci siano ancora i latifondisti, un altro che i latifondisti, i gattopardi, siano ancora una volta classe dirigente ed esprimano la cultura egemone.
Luigi Gazzola – Consigliere provinciale Italia dei Valori