Province addio. Oggi pomeriggio la Camera dei Depuati con 371 voti favorevoli, 86 voti contrari e 22 astenuti, ha aprovato la conversione in legge del decreto sulla spending review, che comprende l’articolo 17 di riordino delle funzioni delle Province. Tra i voti contrari, quello del parlamentare piacentinoTommaso Foti (PdL) che, in precedenza, si era astenuto sulla fiducia al Governo. Subito dopo il voto contrario espresso, l’on. Tommaso Foti ha rilasciato la seguente dichiarazione:
“Sono perfettamente cosciente che quello espresso contro la conversione in legge del decreto sulla spending review e’ un voto pesante e che non sarà privo di conseguenze nei miei confronti. Da parte mia ho valutato che la tutela degli interessi della mia terra non potesse essere sacrificata sull’altare della disciplina di partito” lo sostiene il parlamentare piacentino Tommaso Foti (PdL). “Sono sempre stato e continuo ad essere favorevole all’abolizione di tutte le Province – continua il deputato azzurro – mentre la norma contenuta nella spending review ne tiene in vita alcune, in ragione di criteri del tutto opinabili”. “Pur esprimendo soddisfazione – aggiunge Foti – per l’accoglimento da parte del Governo di quattro ordini del giorno a mia firma volti a fissare alcuni precisi paletti nell’attuazione del riordino delle Province, voglio ribadire la contrarietà ad una norma che ritengo contraria ai principi costituzionali”. “Se poi dovrò pagare dazio per questo mio atteggiamento parlamentare – conclude il deputato del PdL – lo faro’ volentieri. In piena coerenza con una massima che ha sempre contraddistinto il mio agire politico: se un uomo non e’ disposto a rischiare qualcosa per le sue idee, o non vale nulla lui o non valgono nulla le sue idee”.
Contro ha votato il parlamentare della Lega Nord Massimo Polledri (il Carroccio non sostiene il Governo Monti). Hanno votato a favore, invece, i deputati del Partito Democratico Paola De Micheli e Maurizio Migliavacca. De Micheli ha motivato il suo voto con l’opinione favorevole sul decreto.
AGGIORNAMENTO – Si è tenuta verso le 11 di questa mattina, nell’aula di Montecitorio, la prima chiama per appello nominale sulla questione di fiducia posta dal governo sul disegno di legge che converte il decreto sulla spending review, già approvato al Senato. In questi minuti inizierà l’esame degli ordini del giorno, alle 14,45 le dichiarazioni di voto, trasmesse in diretta tv, per le 15,45 invece è previsto il voto finale. E’ a quest’ora che sin avrà la certezza della sparizione della nostra Provincia, anche se il futuro è ancora tutto da scrivere.
E’ il giorno del de profundis. Tra poche ore la Camera dei deputati voterà il decreto sulla spending review che contiene anche il provvedimento che riordina le province, testo sul quale il governo Monti ha posto la fiducia. Mani pressoché legate per i nostri parlamentari, almeno quelli di Pdl e Pd. Di fatto per la nostra provincia la sorte è ormai segnata. Due le strade che si aprono per cercare un salvataggio in extremis: contestare il provvedimento davanti al Tar del Lazio (soluzione più rischiosa in quanto i tempi per avere un responso potrebbero essere lunghissimi), oppure attivarsi per indire un referendum e chiedere ai cittadini con chi vorrebbero essere accorpati. Di questo avviso sono i parlamentari del centrodestra Tommaso Foti e Massimo Polledri, i quali suggeriscono al consiglio provinciale di fare in fretta e di ricercare un percorso che sia il più trasversale possibile, da larghe intese insomma. Non sarà facile. A tal proposito una riunione di maggioranza della provincia dovrebbe essere convocata già entro la fine di agosto allo scopo di iniziare a battere la strada della consultazione popolare. E già Foti ha annunciato di voler ascoltare il parere del Pdl. Se tutto resterà fermo, invece, il destino della nostra città potrebbe essere quello di entrare a far parte della provincia della Grande Emilia con Parma, Reggio e Modena, soluzione che non dispiace al Pd. Certo è che in tal modo Piacenza non sarebbe più capoluogo, lamentano dal centrodestra, con il rischio che spariscano altri centri decisionali importanti. Le polemiche sono destinate ad aumentare.