Il Comitato No Tube chiede un incontro con la Gazzolo e Carini

Con le modifiche imposte dalla Regione i fiumi del territorio sono a rischio. E’ questa la risposta de Comitato No Tube di Piacenza, all’assessore regionale Paola Gazzolo e al Consigliere regionale Marco Carini, dopo la presentazione del piano energetico dell’Emilia Romagna. L’allerta per gli ambientalisti non è quindi passata, perché questa volta ad essere in pericolo non sarebbero più i grandi fiumi come Po e Trebbia ma gli affluenti. I dubbi del comitato nel comunicato sottostante:

Radio Sound

 Chiariamo subito che l’intervento non ci ha tranquillizzato per niente.

Con le modifiche imposte, ricordiamo, la Regione ha cancellato d’autorità la tutela dei corsi d’acqua minori del nostro territorio, che la Provincia aveva stabilito negli anni 2009 e 2010. Tutela da cosa? Dalla possibilità di costruire indiscriminatamente impianti idroelettrici su quei corsi d’acqua, intubandoli così in modo definitivo e lasciando al torrente solo un rivolo striminzito pari al 10% della sua portata naturale.

Questa tutela era contenuta nel “famoso” Art. 100 del Piano Provinciale, articolo che è stato scritto raccogliendo la volontà di 14.000 cittadini, di votazioni unanimi del Consiglio Provinciale, della maggioranza di centro-sinistra che adottò il Piano nel 2009 e di quella di centro-destra che lo approvò nel 2010.

I due rappresentanti Regionali scrivono che “l’accordo raggiunto tra la Provincia e la Regione permetterà di mantenere le disposizioni dell’art. 100 del Ptcp, ossia di preservare dalla realizzazione di centraline le tre aste fluviali principali: Trebbia, Aveto e Nure.” Purtroppo non è così: l’Art. 100 del Ptcp non preservava solo le aste principali di Trebbia Nure e Aveto, ma salvaguardava, come detto, anche i torrenti minori che si trovano in un altissimo stato di naturalità. L’affermazione che l’Art. 100 è stato mantenuto è quindi sbagliata. E’ stato mantenuto, ma solo per una parte. Vale anche la pena di ricordare che la Giunta Regionale in Luglio aveva licenziato un testo delle linee guida che del Ptcp di Piacenza non salvaguardava alcunchè, e che, se non fosse stato per la mobilitazione dei cittadini di Piacenza- con le mille mail inviate in Regione in pochi giorni – e della Provincia, la Regione avrebbe verosimilmente trasformato anche Trebbia Nure e Aveto in terreno fertile per i professionisti della devastazione ambientale.

 

Viene poi elencata una lunga lista di salvaguardie aggiuntive verso i nostri fiumi che la Regione avrebbe introdotto con l’approvazione di queste linee guida.

Anche qui i fatti sono purtroppo diversi da quella prospettati da Gazzolo e Carini.

Nella realtà l’introduzione delle linee guida ha tolto la tutela a importanti aree che il Piano Paesistico precedente invece proteggeva, in particolare le Aree di particolare interesse paesaggistico ambientale, le Aree del sistema dei crinali inferiori ai 1200 metri, le aree boscate di particolare pregio individuate dai PTCP. Significa che in buona parte del nostro Appenino prima era impossibile fare impianti e ora invece è possibile.

Sono ben poche le zone tutelate rimaste dopo la mannaia della Regione. Infatti le aree di tutela naturalistica sono molto ridotte e non ospitano corsi d’acqua adatti. Lo stesso vale per i crinali superiori ai 1200 metri o ai calanchi: non ci sono torrenti con portate d’acqua adatte sopra i 1200 metri nella Provincia di Piacenza e chi può pensare di mettere una centrale appoggiata a un calanco? A nessuno verrebbe tantomeno in mente di costruire impianti idroelettrici in zone archeologiche o dove ci sono immobili pubblici. Allo stesso tempo non ci sono corsi d’acqua nelle aree percorse dal fuoco e nella nostra Provincia purtroppo non ci sono zone A dei parchi e non ci sono riserve naturali (se non quella della Pietra Parcellara dove non ci sono corsi d’acqua). E’ rimasta quindi la protezione in zone che o non esistono, o non sono adatte per natura a ospitare impianti.

Grazie alle norme introdotte, oggi i nostri corsi d’acqua (tutti, eccetto Trebbia Nure e Aveto) possono finire come altri preziosi torrenti della nostra Regione sono già finiti: devastati e intubati.

 

Carini e Gazzolo citano anche la delibera regionale 1793 del 2008, nata per far ordine nel far west idroelettrico. Quella norma è molto avanzata e chiede fortissimi requisiti di tutela, ma ha un problema: viene sistematicamente ignorata quando si tratta di approvare impianti idroelettrici. Invitiamo gli Amministratori Regionali a visitare alcuni ex fiumi delle Province limitrofe: il Secchia, il Dolo, il famoso Rio delle tagliole, il Fellicarolo, lo Scoltenna, il Cedra, l’Ospitale il Setta e tanti altri, per vedere che uso viene fatto di quella norma. Vadano a vedere se la qualità dell’ambiente fluviale di quei torrenti è stata alterata o meno. Sempre che trovino ancora i torrenti…

E oggi il Perino, il Curiasca, il Grondana, il Gramizzola e tanti altri possono finire nella stessa situazione.

 

Quello che proprio non capiamo è che vantaggio pensa di ottenere la Regione dalla eliminazione del divieto di localizzare gli impianti idroelettrici sui corsi d’acqua a carattere naturale. E’ così strano pensare di costruire centrali idroelettriche a partire dai tratti già artificializzati e riservare quelli ancora allo stato naturale al mantenimento dell’ambiente e all’uso collettivo? Pochi mesi fa la Regione aveva approvato questa parte del Ptcp senza fare osservazioni. Cosa ha portato Bologna a cambiare idea?

 

Come si vede, non abbiamo motivo per essere rassicurati. Però cogliamo con favore il fatto che Carini e Gazzolo abbiano preso una posizione pubblica. Almeno hanno rivendicato la scelta politica fatta dalla Regione, e hanno chiarito che non si è trattato di una questione meramente tecnica da riservare a funzionari legali che non sanno distinguere una sorgente da uno scarico fognario.

Proprio perché hanno preso apertamente posizione, chiediamo loro di poterci incontrare in una sede pubblica, di fronte alla cittadinanza, per chiarire meglio l’impatto della decisione presa dalla Regione e soprattutto per verificare se è possibile costruire un percorso che ripari in anticipo il danno che le nuove norme potrebbero portare al nostro territorio.