Il principio di fondo è che tutti gli iscritti debbano contribuire economicamente alla vita del partito; e che se pagano tutti, si paga meno. E’ con questo spirito che nelle settimane scorse la direzione provinciale del Partito Democratico ha votato all’unanimità la proposta, partita dall’esecutivo, che obbliga tutti gli eletti del Pd a versare nelle casse del partito un contributo annuale fisso: il 2% del lordo percepito (e autodichiarato) per chi svolge un incarico pubblico e si trova in aspettativa non retribuita; il 3%, sempre del lordo, per chi invece affianca l’indennità di funzione al salario derivante dalla propria occupazione. Tutti d’accordo? Non esattamente. Tanto che nel partito si è aperto un caso. A provocare malumore, in special modo in alcuni esponenti, sembra essere in primo luogo la rigidità del provvedimento, cioè la codificazione dell’“obolo”; e in secondo luogo il quantum economico che da esso ne deriva. In buona sostanza non per tutti quella cifra variabile tra il 2 e il 3% sarebbero bruscolini, in particolare per coloro che sono in aspettativa non retribuita. E’ il caso, ad esempio dei sindaci della Provincia che, non percependo indennità iperboliche, non avrebbero preso affatto bene il provvedimento. A proposito di sindaci risulta inoltre che non l’abbia presa bene nemmeno il sindaco