Pur mantenendo il radicamento nei territori d’origine le mafie hanno da tempo avviato una strategia di penetrazione in tutte le regioni italiane. Una politica commerciale avveduta sceglie aree particolarmente adatte al riciclaggio in rapporto alla loro vocazione di sviluppo: territori che prevedono ingenti flussi pubblici destinati alla realizzazione di infrastrutture o nei quali l’emergenza spinge ad allentare le regole in nome della rapidità e dell’efficienza. Questa mobilità delle organizzazioni criminali da vita a una sorta di federalismo mafioso. E’ come se avessero promosso un fondo perequativo di criminalità: territori compensativi a fronte di altri dove c’è stagnazione. Dall’Expo di Milano alle zone terremotate dell’Aquila ad esempio, ma non solo.
Il rischio di infiltrazione sorge quando singoli individui o società collegate a una organizzazione criminale si inseriscono in appalti pubblici di opere, servizi o forniture traendone vantaggi illeciti, quando nascono attività economiche finanziate con capitali illeciti o quando con modalità estorsive, approfittando di situazioni di difficoltà economiche,vi è il subentro in preesistenti attività lecite.
Va detto che, mentre prima ogni azione di contrasto alle infiltrazioni veniva affidato alla magistratura, ultimamente non mancano iniziative volte alla “difesa” dal rischio: protocolli di legalità, codici etici, procedure di controllo rese obbligatorie.
Ciò che generalmente manca è la diffusa consapevolezza della gravità del fenomeno. Non è un caso che all’indomani del recente arresto di 300 affiliati alla ‘ndrangheta in Lombardia, un prefetto, che in precedenza aveva negato l’esistenza della mafia in quelle terre, nel tentativo di giustificarsi, sostenne che in Lombardia in realtà c’era solo la “mafia economica”, confezionando una toppa peggiore del buco.
Ancora la scorsa estate, all’indomani della presentazione da parte dell’IdV di una documentata interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno in ordine al possibile rischio di infiltrazioni mafiose nel territorio piacentino, non mancò chi volle minimizzare le nostre preoccupazioni asserendo che il nostro territorio non sembrava interessato dalle cosche mafiose. Una asserzione purtroppo smentita dal recente sequestro in un paese della nostra provincia di un ingente patrimonio immobiliare riconducibile ad affiliati a clan malavitosi.
Per queste ragioni non possiamo che apprezzare e sostenere il “patto per la legalità” proposto dal Prefetto di Piacenza alle amministrazioni locali e alle realtà economiche e produttive provinciali, volto a tenere alta la guardia di fronte al rischio di infiltrazione mafiose nel territorio piacentino.
Rivolto alle Istituzioni e teso a responsabilizzare la politica, il patto, le cui regole non devono essere considerate “appesantimenti burocratici”, chiama direttamente in causa anche gli imprenditori, che sono in prima linea ad affrontare i rischi, non solo quello di una concorrenza sleale da parte di chi può beneficiare di risorse illecite, e che, per non soccombere, pur avendo il diritto di essere posti in uno stato di libertà di iniziativa, hanno il dovere della denuncia contro le estorsioni a qualsiasi titolo.