Una necropoli sotto Santa Maria di Campagna, la visita di Roberto Tagliaferri

Sotto la Basilica di Santa Maria di Campagna c’è un primitivo cimitero cristiano. Ne ha data diretta testimonianza l’ing. Roberto Tagliaferri durante un incontro che si è tenuto nella Sala del Duca, nell’ambito delle manifestazioni collaterali all’apertura natalizia della Salita al Pordenone. «Nel corso di un sopralluogo durante i lavori di rifacimento dell’illuminazione della Basilica – ha raccontato – ho avuto modo di scendere nei sotterranei e di vedere le gallerie con i loculi ad arco». Una descrizione che combacia con quella che padre Corna fornisce nel suo libro, dove si legge che “i primitivi cimiteri cristiani erano gallerie sotterranee dette arenarie, se curve, larghe, con le pareti inclinate, quindi cripta arenaria ha senso di cimitero; oppure catacombe, se le gallerie erano diritte, strette e tagliate verticalmente”.

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Padre Corna spiega ancora che “nelle pareti di queste gallerie si formavano cavità di forma rettangolare, se la parte superiore era ad arco si diceva arcosoglio” e che “queste tombe furon chiamate loci o loculi ed erano disposti simmetricamente uno sopra l’altro, finché lo permetteva l’altezza della parete…”. Il padre francescano si chiede poi come mai proprio in quell’area furono sepolti i martiri della persecuzione di Diocleziano, nel famoso pozzo dove fu in seguito eretta la chiesetta di Campagnola prima e la grande basilica poi: e la risposta la dà spiegando che l’area di Campagna era allora fuori le mura e la legge delle XII tavole proibiva d’inumare i cadaveri in città. Una tradizione di seppellimento in un certo senso continuata se si osserva il pavimento della Basilica mariana: su alcune mattonelle sono ancora visibili dei numeri che stanno a significare che lì sotto c’è sepolto qualcuno. In corrispondenza della numero 80, per esempio, si trova la tomba di Alessio Tramello, che di Santa Maria di Campagna è stato progettista e costruttore. E se oggi lo si può affermare con assoluta certezza, il merito è proprio di padre Corna che – come ha ricordato Valeria Poli – nella sua ricerca documentale negli archivi della Basilica ritrovò e pubblicò il contratto dei fabbricieri per l’incarico al Tramello. La professoressa Poli ha invitato alla consultazione – per avere notizie precise di padre Corna – della «bella scheda» pubblicata nel Novissimo Dizionario Biografico Piacentino, libro strenna 2018 della Banca di Piacenza, e ha ricordato il legame che Santa Maria di Campagna ha sempre avuto con i piacentini, ad esempio con la tradizione del Ballo dei bambini».

Il presidente del Comitato esecutivo della Banca di Piacenza Sforza Fogliani – dopo aver sottolineato che «le necropoli noi le lasciamo stare, c’è molto da fare sopra prima di scavare» – ha ricordato che al padre Corna è stato nei mesi scorsi intitolato l’assito del camminamento degli artisti, dove avviene lo scambio tra chi scende e chi sale sulla cupola per ammirare gli affreschi del Pordenone». Tornando alla lectio di Vittorio Sgarbi in Santa Maria di Campagna del giorno precedente, il presidente Sforza ha riferito di una telefonata fattagli dal critico d’arte in tarda serata: era in corso una disputa con alcuni amici che lo avevano accompagnato sulla datazione (1200 o 1300?) della statua della Madonna di Campagna che si trova sopra l’altare, tra i Santi Giovanni Battista e Caterina d’Alessandria, di cui si parla anche nel libro di padre Corna. Una rapida verifica sul volume di Arisi dedicato alla Basilica ha dato ragione a Sgarbi, che semplicemente osservandola aveva dato alla Madonna di Campagna la giusta età: prima metà del XIV secolo. Al termine, il presidente ha ricordato che le manifestazioni della Banca non godono (volutamente) di contributi pubblici né utilizzano fondi della comunità piacentina, aggiungendo: «La cultura può e deve autofinanziarsi, come facciamo noi, senza mettere le mani nelle tasche dei piacentini. Dal pubblico, noi abbiamo avuto solo fastidi».

Padre Secondo Ballati, guardiano del convento dei frati minori, ha infine spiegato l’importanza della Sala che ha ospitato l’incontro: «Siamo in una stanza nobile, dove i duchi Farnese si cambiavano d’abito prima di assistere alla messa e dove incontravano persone, magari davanti a una tazza di tè. E siamo nella sala dove nel 1920 padre Pier Paolo Veronesi fece un esorcismo passato alla storia, perché tutti i dialoghi delle 15-16 sedute furono stenografati e trascritti».