E’ in scena al Teatro dell’Opera di Roma, l’Andrea Chénier di Umberto Giordano. Il nostro illustre concittadino Marco Bellocchio ne firma la regia. La romantica e trascinante direzione orchestrale di Roberto Abbado conferisce allo spettacolo una dimensione e un prestigio che resteranno negli annali del teatro romano.
Da tempo non ascoltavo un cast così unito e convincente (Andra Chénier: Libretto di Luigi Illica; Musica di Umberto Giordano; Direttore: Roberto Abbado; Regia di Marco Bellocchio Andrea Chénier: Gregory Kunde; Carlo Gérard: Roberto Frontali; Maddalena di Coigny: Maria José Siri; La mulatta Bersi: Natascha Petrinsky; La contessa di Coigny: Anna Malavasi; Madelon: Elena Zilio; Roucher: Duccio Dal Monte; Il Romanziero: Graziano Dallavalle; Il sanculotto Mathieu: Gevorg Hakobyan; un”incredibile”: Luca Casalin; L’abate: Andrea Giovannini; Schmidt-Il maestro di casa- Dumas: Timofei Baranov).
Ammiratrice e conoscitrice assidua dell’opera di Marco Bellocchio, ho condiviso in toto il pensiero ideale che ha ispirato la visione storica di questa regia.
Amante dell’opera fin da ragazzo, Bellocchio confessa di essere rimasto toccato dalle “sublimità” della linea melodica del capolavoro di Giordano, scritto nel 1896 e appartenente al repertorio verista ma, in realtà, assai vicino alla sensibilità romantica. Bellocchio riflette sul binomio amore-morte che nell’opera è continuamente presente. La rivoluzione francese è il preludio della morte della grande aristocrazia, il popolo esaltato inneggia alla morte di tanti innocenti, Maddalena ricorda la mamma morta e ne presagisce la protezione celeste.
Andrea Chénier è un poeta, la sua anima inquieta canta la bellezza dell’universo e il testo poetico del libretto del nostro concittadino Luigi Illica, incastona gemme di sublime ispirazione in immagini di suggestivo lirismo.
Roberto Frontali trascina e fa sognare! Chi scrive era seduta in prima fila ed ha avuto modo di vivere tutto il pathos della vicenda lasciandosi trascinare dalla bellezza e dall’intensità della musica.
Bellocchio crede nella tradizione e non aderisce alla linea di coloro che stravolgono la regia; Bellocchio sostiene la intrinsecità della musica stessa che parla solo il proprio linguaggio universale. Noi tutti ricordiamo il percorso personale ed artistico del grande maestro di Bobbio che, dal cinema al melodramma, traspone un’esperienza personale e familiare di grande umanità: Andrea Chénier è l’opera della morte e per la morte e lo stesso Bellocchio ripropone nella bella intervista di Luca Pellegrini, presente nel programma di sala, i suoi ricordi familiari di morte.
Chénier è un dramma storico ove il potere della Rivoluzione soggiace alla forza dei sentimenti; proprio questo ha esaltato Bellocchio nella sua delicata e nostalgica costruzione affettiva della drammaturgia.
Roberto Abbado e Roberto Gabbiani, maestro del Coro, hanno tratteggiato, parola per parola, il fraseggio del Canto e la straordinaria potenza lirica dell’Orchestra.
Non dimentichiamo in questa sede la grandezza immortale di Luigi Illica, artista originalissimo e ribelle, cantore di amore e guerra, intimo di Puccini e di Giordano che in quest’opera raggiunge il culmine dell’espressione poetica nell’esaltazione modernissima del vissuto dei personaggi.
La morte è terribile e tutta l’opera ne è pervasa, ma la coscienza dello spettatore sembra vibrare in una certezza: la redenzione nella luce e nella serenità dell’Eterno.
Piace concludere a chi scrive con il sentimento di dolce malinconia che percorre tutta l’opera e che lo stesso Marco Bellocchio ama sottolineare nelle sue riflessioni sul mondo del melodramma.
Maria Giovanna Forlani