Santa Maria di Campagna e Antonio de’ Sacchis al centro di un’altra serata di approfondimento culturale nell’ambito delle manifestazioni collaterali alla Salita al Pordenone. Protagonisti della conferenza – che si è tenuta in Basilica – Manrico Bissi, che ha fatto un parallelismo architettonico e pittorico tra Santa Maria di Campagna e la chiesa della SS. Annunziata a Cortemaggiore e Giorgio Duhr, che ha trattato del Pordenone come astro della pittura rinascimentale e veneta.
Dopo il saluto introduttivo di padre Secondo Ballati, l’architetto Bissi ha sottolineato come il Tramello, che ha disegnato la cupola, e il Pordenone, che l’ha affrescata, «siano giunti a una mirabile sintesi tra pittura e architettura senza mai incontrarsi». Da entrambi arriva un medesimo messaggio culturale: la sacralità del cerchio la cui quadratura (Archimede docet) è la base del pensiero neoplatonico che guida i pennelli del Pordenone. «Il neoplatonismo – ha spiegato Bissi – è una corrente filosofica di matrice bizantina importata in Italia dal filosofo Giorgio Gemisto Pletone nella prima metà del secolo XV. Pletone celebrava il culto dell’Uno, termine che indicava un principio-primo, una sorta di intelletto universale, in cui confluivano tutte le Fedi dell’Umanità, e del quale l’uomo stesso era parte. Metaforicamente, l’Uno era identificato con il sole e con la geometria del cerchio, nel cui centro tutto converge». La base filosofica di Pletone è lo spunto per la rivoluzione copernicana, ma questa idea viene “addolcita” dal pensiero cristiano che identifica l’Uno con Dio. Il cerchio dunque come espressione divina sia nella pittura che nell’architettura. «Tramello – ha proseguito Bissi – nel progettare Santa Maria di Campagna, impostata secondo una schema a pianta centrale, subisce influssi leonardeschi. Non a caso fu allievo del Bramante, che conobbe Leonardo a Milano. In questa basilica, però, leggiamo anche un riferimento all’architettura del Brunelleschi, di cui viene ripresa la composizione tra cubo (navata) e semi-sfera (cupola), già sperimentata nella Sacrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze». Assistiamo dunque all’incontro tra cielo e terra, tra Dio e l’uomo. «Lo vediamo sia qui che a Cortemaggiore nella chiesa dell’Annunziata – ha sottolineato Bissi -. In altezza la basilica del Tramello si eleva in una successione di tre cubi equivalenti: l’ultimo contiene a sua volta la semi-sfera della cupola. Il grande ciclo pittorico della cupola stessa, iniziato dal Pordenone nel 1530, scende verso l’uomo dall’alto, partendo dall’unico Dio, sul quale vanno infatti a convergere tutti i costoloni della volta. L’amore di Dio discende ai fedeli mediante varie fasi (ipostasi): le sibille pagane e i profeti biblici; gli apostoli (ebrei che seguono Cristo); concludendosi nella Concezione Immacolata di Maria, che consentirà a Dio di incarnarsi Uomo». E a Cortemaggiore succede qualcosa di molto simile, anche se in scala più ridotta, nella Cappella Pallavicino, a pianta ottagonale, dove Dio scende dal cupolino verso terra e incontra nelle lunette sibille e profeti. A fianco della pala con la Madonna (o Sant’Anna) i Dottori della Chiesa, che divulgano la verità dell’Immacolata Concezione.
«Amo anch’io questa chiesa pur non abitando a Piacenza – ha esordito Giorgio Duhr -, città a cui sono legato perché è il luogo dove ho conseguito il patentino di guida turistica. Magnifica basilica affrescata da un grandissimo pittore, il Pordenone, valorizzato da questa bella iniziativa della Banca di Piacenza con la Salita. E la doppia Salita, con il Guercino, rappresenta una carta vincente per la vostra città, che non ha nulla da invidiare a Parma. Oltre al Pordenone e al Guercino, non dimenticatevi mai che la Madonna Sistina fu dipinta per Piacenza. Tutti elementi sui quali poter esprimere l’orgoglio di essere custodi di un grandioso patrimonio culturale ed artistico».
Con un’appassionata carrellata di immagini proiettate di opere del Pordenone, Duhr ha dimostrato come l’artista friulano possa essere considerato l’astro della pittura rinascimentale e veneta. «Il de’ Sacchis – ha spiegato Giorgio Duhr – manifesta sin dalle prime opere un vigoroso senso di dinamismo e di risalto plastico, portato avanti con un senso di “far largo”, di spinte monumentali, volumi dilatati ed effetti teatrali, che diventa la sua “cifra” tout court, con esiti anche di quasi vorticosa spettacolarità come nella Crocefissione della cattedrale di Cremona (1520-1522), dove peraltro negli affreschi degli arconi non si attiene più alla suddivisione in due scomparti per campata, obbligatoria per i pittori precedenti. Dopo l’importante episodio dei dipinti nella cappella Pallavicino nella chiesa dell’Annunziata a Cortemaggiore, il Pordenone crea delle pagine veramente sublimi in Santa Maria di Campagna con gli affreschi della cupola e quelli delle cappelle dei Magi e di Santa Caterina».
«Sottolineo l’aggettivo sublime – ha concluso Duhr – perché queste opere attestano una maturità in cui il Pordenone riesce a coniugare la sua carica espressiva con un senso di armonia e solennità che non si riscontrano negli affreschi cremonesi dieci anni prima. In questo contesto, gli affreschi della cupola, con la loro splendida ideazione compositiva e i suggestivi effetti plastici, segnano un vero apice, al quale non a caso guarderà il Guercino nel secolo successivo. Un apice di potenza evocativa, ma al pari di intensità poetica. Il “fare largo” è diventato un “far poetico”, sigillando un sorprendente esito di classicità, un linguaggio compositivo nuovo, in cui risplende la tradizione veneziana».
Il presidente del Comitato esecutivo della Banca di Piacenza Corrado Sforza Fogliani ha ringraziato i relatori. Manrico Bissi «per l’amicizia che dimostra alla città e alla Banca» e Giorgio Duhr, «innamorato di Piacenza e grande appassionato del Pordenone».