E’ stato necessario spostare l’incontro dalla Sala Panini al Salone dei depositanti di Palazzo Galli, tante sono state le prenotazioni per assistere alla presentazione del libro Giuseppe Borea. Quando l’amore è più forte dell’odio, dedicato al sacerdote piacentino ucciso a 34 anni da un plotone d’esecuzione della Guardia nazionale repubblicana. A ricordane la figura sono intervenuti il vescovo mons. Gianni Ambrosio, il presidente del Comitato esecutivo della Banca di Piacenza Corrado Sforza Fogliani, l’autrice del volume (Edizioni Il Duomo) Lucia Romiti, giornalista, redattrice della rivista del Rinnovamento nello Spirito santo e don Davide Maloberti, direttore de Il Nuovo Giornale. La storia di don Borea – è stato sottolineato – è un intreccio di amore, fede e servizio e si sta lavorando, è stato annunciato, per aprire il processo di beatificazione. Don Giuseppe era nato a Piacenza il 4 luglio del 1910. Diventato sacerdote, fu nominato parroco di Obolo, frazione di Gropparello, nel 1937, quando aveva 27 anni. Durante la Resistenza scelse di essere cappellano partigiano della trentottesima Brigata della Divisione Valdarda, guidata dal comandante Giuseppe Prati, e si distinse per la sua umanità e il suo coraggio. Sempre pronto a portare la parola della misericordia sul fronte della guerra civile, venne arrestato nella sua canonica da tre uomini della Guardia nazionale della Repubblica di Salò e sottoposto a un processo sommario (la sentenza di condanna a morte era già scritta da tempo).
Morì sotto i colpi del plotone di esecuzione il 9 febbraio del 1945, appena prima del 25 aprile, in odio alla fede, come il beato Rivi di Reggio Emilia. Don Borea – è stato ricordato – fu un uomo coraggioso e allo stesso tempo molto sensibile, che non si rassegnò al male del tempo storico in cui si è trovato a vivere. Morendo strinse al petto il crocifisso e chiese perdono per i suoi carnefici.