“Un risultato assolutamente deludente, anche nelle altre città il Movimento 5 Stelle è stato disastroso”. Non si nasconde Andrea Pugni, e non cerca di stemperare un 9,12% che lascia poche possibilità di soddisfazione. “A livello locale paghiamo molte scelte nazionali e il poco interventismo dello staff centrale che troppo spesso lascia al caso le sezioni locali. Non dimentichiamo poi i problemi nella gestione di città importanti come Roma e Torino e infine anche il fatto di esserci divisi ha certamente pagato (riferimento agli attriti con il MeetUp che non ha mai riconosciuto la candidatura di Pugni ndr)”.
Come si continua ora?
“Ora è il momento di analizzare il voto perché questa percentuale racchiude importanti considerazioni sulle quali è opportuno confrontarsi. Per quanto riguarda eventuali apparentamenti, il Movimento 5 Stelle storicamente non si allea, stiamo a vedere cosa accadrà in questi quindici giorni, certamente il nostro 9% potrebbe far comodo a qualcuno. Ora dobbiamo confrontarci tra noi, però con ogni probabilità lasceremo i nostri elettori la libertà di voto in vista del ballottaggio”.
Sul risultato Andrea Pugni ha inviato un comunicato ufficiale: “Anatomia di una sconfitta”.
Mi prendo la responsabilità di una sconfitta pesante, senza se e senza ma. La quota di responsabilità non si decide a tavolino a seconda della convenienza del momento. Non si vince un po’ o si perde poco. O si vince o si perde. Poi, in politica come nella vita, esistono le sfumature. Volendo analizzare, per dovere politico, il dato con occhio critico mi preme fare alcune considerazioni.
Il M5S a livello locale è stato disastroso. Con l’eccezione di Genova e Palermo, comunque ampiamente sotto il presunto dato nazionale, nelle città di una certa dimensione siamo sempre stati al di sotto del 10% ed in molti casi inferiori al 6/7%. Il Movimento, quando esistono due forze contrapposte, stabili e compatte, fatica ad emergere soprattutto a livello locale e risente certamente delle difficoltà in cui versano alcune amministrazioni pentastellate (Roma in particolare).
L’astensionismo è stato elevatissimo. Praticamente considerando le schede nulle ha votato in modo valido un piacentino su due! Il 65% del 2012 è diventato il 56% del 2017, quasi che quel 56% potesse essere la perdita per cause naturali dell’elettorato. Passando per i seggi ho visto tanti anziani al voto e i pochi giovani presenti accompagnavano i parenti anziani. Una società che vuol cambiare mostra un’altra spinta in termini di afflusso elettorale.
Una cosa è certa: Piacenza non cambia mai… La lista di centrodestra, che peraltro non ha ancora vinto, annovera nelle sue file vecchi politicanti locali. Il centrosinistra idem. Non giudico Barbieri e Rizzi che ritengo due persone stimabili e di qualità ma ciò che rappresentano è la ragnatela clientelare locale che attraverso tante liste anche civiche ha capillarizzato l’offerta di voto ed il relativo consenso negli strati sociali più profondi di Piacenza. Mi è sembrato il tentativo (riuscito) delle compagnie di assicurazioni che assumono con la promessa di un contratto i giovani per fare le polizze alle nonne.
E poi ci sono dei politici credibili che hanno fatto buoni risultati e ottime campagne elettorali: Trespidi, Rabuffi e Torre.
Il nostro modesto 9,12% risente certamente delle loro qualità, del budget di spesa modesto (meno di 5.000 euro a fronte di corazzate che si attestano sui 50-150.000 euro) ma non può e non deve essere una giustificazione al nostro insuccesso. Pragmaticamente si può dire che il risultato del ballottaggio (28,20%) ci sarebbe stato precluso anche nella migliore delle prestazioni. Siamo arrivati al voto con alcune difficoltà interne che hanno deluso chi credeva in noi ma quando ci si presenta ai cittadini si ha il dovere di mostrarsi col vestito migliore (e le intenzioni migliori ma su quello per tutti noi ci metto la mano sul fuoco). Bisogna stare tra la gente e costruire qualcosa di solido. Un rapporto sociale basato su fiducia, ascolto e soluzione dei problemi dei cittadini. Questo è mancato, soprattutto per problemi strutturali, e la lacuna non si poteva colmare con pochi mesi di presenza sul territorio. Inoltre non siamo riusciti a trasmettere un senso di proattività, di evoluzione del paradigma “noi contro tutti” o de “il nuovo è sempre meglio”. Il salto di qualità passerà indubbiamente anche da li.
Mi sono permesso di scrivere due righe a caldo nella speranza di aver ispirato, senza retorica, qualche discussione politica futura ribadendo, se ce ne fosse bisogno, che i risultati non mentono mai.