In previsione della sottoscrizione del Protocollo d’Intesa per la prevenzione del disagio giovanile, che avverrà entro i primi quindici giorni del mese di novembre, interviene il prefetto Maurizio Falco.
L’idea di un progetto sul Disagio giovanile, concepita appena pochi mesi dopo il mio arrivo in Prefettura – e corroborata da tanti avvenimenti di diversa intensità registrati da allora sino a ieri – prenderà corpo nei prossimi giorni: con l’ambizione di innescare un dialogo generazionale innovativo, in grado di aprire nuovi orizzonti alla sfida che caratterizza il “divenire dell’adolescenza verso la maturità”. Gli atteggiamenti, talvolta aggressivi, di aperto scontro con le istituzioni e le regole, sono sempre stati il viatico di una crescita più o meno traumatica dell’individuo. Ma questa evoluzione – dalla crisalide infantile alla maturità compiuta- avveniva comunque nell’ambito di un rapporto duro, fisico, eppure ben definito nei ruoli. In un tempo in cui era indiscussa la titolarità di un diritto/dovere di protezione e di educazione dei genitori verso i figli, dei precettori verso i ragazzi. Un diritto/dovere contestato nelle scelte ma mai disconosciuto nella fonte. L’irruzione e lo sviluppo repentino del web, con le innumerevoli contraddizioni ed opportunità che contiene, rischia oggi di minare questo rapporto, nell’ ingannevole proporsi delle reti come “Territorio virtuale di tutte le Libertà possibili e di tutte le spiegazioni o opzioni praticabili”.
Con le sue “verità spesso affermate piuttosto che provate”, con la esaltazione di nuovi modelli comportamentali e della velocità come valore assoluto, la società in rete rappresenta un ostacolo non indifferente per noi adulti educatori, chiamati al cospetto dei giovani dovendo innanzitutto risolvere le nostre contraddizioni.
Pretendiamo il rispetto di regole fondamentali ma siamo i primi a violarle (abuso di fumo, alcool, violenza verbale e fisica percepita come elemento caratteriale di forza etc.). Abbandoniamo al bombardamento dei messaggi del web i nostri figli sin dalla età infantile, senza sufficienti controlli o limiti; giustifichiamo un’avversione preconcetta verso chi ha il compito di educarli al di fuori del nucleo familiare; ma spesso anche verso ciò che si percepisce come diverso, perché ci minaccia a prescindere da ogni altra considerazione. Figli come siamo – tutti insieme davvero– del tempo e dell’economia della paura. Questo deficit di credibilità complessivo è il punto da cui siamo partiti, spinti dagli eventi di violenza e/o di autolesionismo (risse in piazza organizzate via web, offese di morte sui social, assunzione di alcool sino al coma etilico, etc.) a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi a Piacenza e nella provincia, con i ragazzini più piccoli a fare addirittura da vittime e protagonisti.
E tutto ciò nonostante il nostro territorio sia comunque ricco di iniziative pubbliche e private di altissimo valore, che vedono l’impegno disinteressato di persone eccellenti, di professori che davvero possiamo annoverare tra i migliori esempi di passione e dedizione professionale sul tema. Ma forse, ci siamo detti, è il modulo comunicativo e di coinvolgimento che deve essere riorientato, e fare la differenza. Il che non significa abbandonare un atteggiamento di fermezza rispetto a comportamenti/limite registrati, perché i rischi di fallimento totale del processo educativo si materializzano poi pericolosamente per tutti.
Ecco perché abbiamo immaginato, insieme alle Amministrazioni comunali del piacentino, all’Amministrazione Provinciale ed all’Ufficio Scolastico Provinciale, di dar vita a un percorso di eventi che mettano i ragazzi al centro del dialogo, coinvolgendo innanzitutto associazioni dei Genitori e dei Ragazzi.
Questi ultimi, visti non soltanto quali destinatari dell’azione educativa, ma protagonisti di un racconto personale e collettivo, che smonti subdoli miti nichilisti, che combatta l’emarginazione dei più deboli, che ricomponga pericolose fratture nell’asse giovani, genitori, educatori (della Scuola e della Società).
Partendo quindi proprio dall’esperienza delle buone prassi esistenti, cercheremo, con iniziative itineranti nei luoghi di incontro fisico e non virtuale, di dare spazio ad una visione realistica e non ipocrita: del mondo della scuola; dei protagonisti della comunicazione, che seguendo regole prettamente di mercato, tendono a sfruttare le vicende dei ragazzi più vulnerabili e li trasformano spesso in eroi negativi; delle contraddizioni che incrinano all’interno i rapporti nelle le famiglie italiane ma anche di immigrati, che scontano il conflitto interno con figli già considerabili addirittura non di seconda ma di “terza e generazione”.
E tutto questo cercando una narrazione più vicina al modo di sentire dei ragazzi: anche attraverso la testimonianza dei successi raggiunti nel loro campo da parte di veri campioni di generosità civile che abbiamo qui a Piacenza, o attraverso la suggestione del “teatro gioco vita”, come macchina di trasformazione “ majeutica” di soggetti perdenti (i cosiddetti sfigati) in protagonisti di nuove relazioni inclusive e positive.
Se ci saremo riusciti, al termine di un’avventura che non vuole avere la gabbia di un protocollo scritto ed una scadenza temporale definita, avremo l’orgoglio e non il merito di avere acceso una luce sulle potenzialità di un metodo che non cerca colpevoli ma immagina soluzioni.