«Nessuno può permettersi di dubitare dell’attività allevatoriale classica. I vegani sembrano ragionare con la parte del corpo più pregiata nel bovino e nel suino: quella posteriore». È la provocazione con cui Giampaolo Maloberti, presidente del consorzio di allevatori e macellai “La Carne Che Piace”, risponde ad alcune esternazioni rilasciate da attivisti vegani e animalisti sui media locali.
«La tradizione zootecnica e il conseguente indotto generato per molte famiglie del territorio», esordisce Maloberti, «non possono essere compromessi da deliri vegani, come l’idea di abolire e riconvertire gli allevamenti in orti sinergici, agricolture biologiche o permacoltura in quanto sarebbero fonte di immoralità. Una certa stampa partigiana sta cercando di trasmettere il messaggio che le carni rosse sarebbero cancerogene: non a caso, i toni allarmistici sul consumo di carne – compresi quelli farneticanti dell’Oms – hanno tentato di spianare la strada alla liberalizzazione dei novel food, cioè scarafaggi, bruchi, cavallette e altri insetti commerciabili sulle tavole degli italiani e sugli scaffali dei supermercati. Un ricercatore universitario locale, nei mesi scorsi, ha addirittura suggerito di gravare il settore zootecnico con una fiscalità pesante. Anche le rappresentanze istituzionali, in alcuni frangenti, hanno condannato gli allevamenti. E gli animalisti vorrebbero impedire la costruzione di nuove dighe per tutelare la fauna, ignorando la siccità che imperversa nelle stagioni calde. Siamo in una situazione folle, in cui rischiano di smarrirsi i capisaldi della nostra provincia, frutto del lavoro sapiente, costante e passionale di numerose generazioni».
«Mentre gli animalisti accusano gli allevamenti di inquinare il pianeta, diano un’occhiata all’impatto che stanno avendo sulle popolazioni locali i nuovi ingredienti tanto di moda nella dieta vegana: per la soia ogni anno viene raso al suolo il 3% della foresta pluviale Argentina; la coltivazione intensiva di quinoa, che avviene nei due Paesi più poveri del Sud America – Perù e Bolivia –, sta peggiorando l’esistenza degli abitanti autoctoni. Nei periodi di carestia del passato, invece», conclude Maloberti, «il maiale ha saputo sfamare famiglie intere. E con orgoglio, Piacenza è l’unica provincia a fregiarsi di tre salumi DOP».