A 23 anni costretta a prostituirsi fino all’ottavo mese di gravidanza e pochi giorni dopo il parto. E’ uno spaccato della triste vicenda su cui ha gettato luce la polizia municipale smantellando un organizzato gruppo dedito allo sfruttamento della prostituzione. In manette sono finite quattro persone: una donna albanese di 33 anni, il marito italiano di 37, un altro italiano di 45 anni e un uomo albanese di 31 anni. I fatti risalgono al febbraio 2016 quando si verificò un episodio estremamente singolare. Il 37enne, che ancora non era sposato con la donna di 33 anni, si presentò al comando di via Rogerio e disse: “Ho litigato con la mia compagna e voglio che sappiate una cosa, il suo lavoro è sfruttare la prostituzione e costringe alcune ragazze a vendersi”. La ripicca di un fidanzato infuriato che però gli agenti presero molto sul serio iniziando a chiedere maggiori dettagli sulla vicenda: “La Municipale monitora con attenzione il fenomeno della prostituzione e le informazioni fornite dal 37enne combaciavano con gli elementi a nostra conoscenza, motivo per cui abbiamo iniziato ad approfondire la segnalazione” spiega il comandante vicario Massimiliano Campomagnani.
Per inciso, dopo qualche giorno il 37enne, forse rendendosi conto del “guaio” combinato, è tornato al comando di via Rogerio commentando: “Io e la mia compagna ci siamo chiariti, tutto si è messo a posto e anzi, tra un mese ci sposiamo. Quindi per quella segnalazione dell’altra volta lasciamo pure stare”. Ovviamente però la polizia municipale aveva già iniziato a indagare e gli investigatori, nel frattempo, avevano già gettato luce su uno scenario più squallido del previsto. Una delle ragazze sfruttate dal gruppo, una 23enne, era costretta a vendersi nonostante fosse all’ottavo mese di gravidanza: dopo aver partorito è stata lasciata “a riposo” per soli sei o sette giorni prima di riprendere a fornire prestazioni sessuali a pagamento. Gli agenti, sotto la direzione del pm Antonio Colonna, hanno iniziato appostamenti e intercettazioni telefoniche fino a quando gli elementi raccolti sono risultati sufficienti: l’8 febbraio scorso sono scattare le manette per i quattro individui.
La donna albanese, in passato lei stessa lucciola, aveva “fatto carriera” fino a diventare sfruttatrice, il connazionale di 33 anni la aiutava nella gestione della rete e un uomo italiano di 45 anni subaffittava alle giovani sfruttate un appartamento in zona Mucinasso: in quell’abitazione le ragazze vivevano e portavano i clienti, il tutto pagando un affitto di 500 euro alla settimana. Ma ciò che ha dell’incredibile è che il marito della donna albanese di 37 anni, lo stesso che ha dato il via alle indagini con la sua denuncia, è risultato essere non solo a semplice conoscenza dei malaffari della moglie, ma parte integrante del gruppo: motivo per cui anche per lui sono scattate le manette. Per tutti l’accusa è di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, reati aggravati dal numero delle donne schiavizzate e dalle minacce con cui gli aguzzini esercitavano il controllo su di esse. Le ragazze infatti (la municipale ne ha identificate sei, tutte di età compresa tra i 22 e i 33 anni), venivano fatte arrivare dall’Albania con il permesso turistico, valido tre mesi, e una volta a Piacenza venivano costrette al marciapiede con continue minacce. Dopo tre mesi, scaduto il permesso, le ragazze tornavano in Albania.
“Il tema della prostituzione è da noi molto sentito – commenta il procuratore capo Salvatore Cappelleri – per questo motivo ringrazio di cuore la polizia municipale per il lavoro svolto. Ringrazio anche i volontari che partecipano al progetto ‘Oltre la Strada’ che da sempre collaborano in modo proficuo con l’amministrazione comunale e con le forze dell’ordine, anche in questo caso hanno fornito un aiuto concreto”.