Il mondo ultras è strano. Avete presente quegli individui che ogni domenica si affrontano, a volte solo verbalmente, a volte arrivando allo scontro fisico? Quelli di cui, nei talk show, si parla prendendo le distanze? Quelli che “rendono il calcio uno sport peggiore”? Ecco, proprio loro. Come mai questo pomeriggio, allo stadio Garilli, erano uno di fianco all’altro per salutare Marco Reboli? Come mai la bara in cui ora Marco riposa era avvolta da sciarpe di squadre come Parma, Empoli, Juventus, Salernitana e tante altre? Ma è ovvio. Il motivo è che, come dicevamo prima, il mondo ultras è strano. E’ un mondo che ruota intorno a una parola: rispetto. E in nome di questa parola è in grado di fermarsi di colpo. Un mondo dove, in nome del rispetto, un giorno ci si sferra un pugno, il giorno dopo ci si abbraccia. E Marco, dopo decenni trascorsi a cavalcioni di una balconata, il rispetto se l’era guadagnato. Da nord a sud.
Rivalità? Certo, e tanta. Ma oggi c’erano tutti a salutare il “Principe” come veniva chiamato affettuosamente. “Noi siamo così. Da domenica prossima tutto tornerà come prima, ma oggi siete qui, grazie di cuore” ha detto il fratello, Davide Reboli, in attesa del feretro. Feretro che, una volta entrato all’interno dello stadio, ha percorso la pista di atletica come per permettere al Principe di ammirare ancora una volta il proprio regno. Uno stadio ormai malandato, che molti vorrebbero abbattere e ricostruire. Ma è lo stadio in cui Marco ha visto il proprio Piace combattere contro corazzate come Milan, Inter, Juventus. Lo stadio dove Marco ha gioito per le promozioni e le salvezze e dove ha gridato la propria rabbia per le sconfitte e le retrocessioni.
Erano presenti anche squadra e società, in testa Luca Matteassi, Marco Scianò, Stefano Gatti, Arnaldo Franzini. Più volte dirigenza, giocatori e allenatore hanno sottolineato l’importanza di avere una tifoseria come quella biancorossa, in grado di tenere accesa la fiammella anche nei periodi più oscuri. Eccellenza, serie D, Lega Pro. A gente come Marco le categorie non sono mai interessate. C’erano solo una città e una squadra. Punto. E la domenica si andava allo stadio, non al centro commerciale.
Parlavo con un amico sostenendo che è bello andarsene così, salutato da rivali e avversari, acclamato da persone che magari ti conoscevano solo per fama. Questo amico mi ha risposto: “Hai ragione, ma tu sei morto e quelle emozioni non le puoi provare”. Io credo che non ci sia nulla di più errato. Stando in piedi lungo la pista di atletica i cori e le grida erano travolgenti. I colori, i battiti delle mani, erano come pugni contro il petto. E il feretro era lì, accanto a noi: assolutamente impossibile che Marco non abbia sentito e visto, va contro ogni legge della fisica. Senza contare che Marco questo stadio non lo lascerà mai.
Federico Gazzola