Sull’argomento avevamo fino ad ora studi parziali. Con il testo di David Vannucci la lacuna è colmata. “I campi per prigionieri di guerra nel territorio piacentino durante la seconda guerra mondiale. Rezzanello, Cortemaggiore, Veano, Montalbo” (edizioni Tip.Le.Co) – presentato a Palazzo Galli, Salone dei depositanti, dall’autore in dialogo con Corrado Sforza Fogliani e Manrico Bissi – rimarrà sempre un punto di riferimento preciso, ma soprattutto prezioso. Lo ha sottolineato il presidente del Comitato esecutivo della Banca di Piacenza (l’Istituto ha contribuito alla realizzazione del volume), aggiungendo che «siamo in presenza di un testo rigoroso. L’autore è, del resto, Ufficiale del nostro Esercito: il suo scritto non poteva, dunque, che risentirne. Un testo anche – ha proseguito Sforza Fogliani – appassionante e di grande umanità: che ci fa sentire nostri gli stenti, le difficoltà, i disagi che patirono gli internati».
Il presidente Sforza ha posto quindi l’accento su altri aspetti del libro: «I campi per i prigionieri di guerra – ha spiegato – trovarono sede in castelli, edifici monumentali e palazzi storici: di essi l’autore tesse allora la storia, artistica e politica. I prigionieri di guerra, poi, vennero a contatto con le nostre popolazioni, soprattutto rurali: di questi rapporti Vannucci ci fa la descrizione, sempre attenta, talvolta commovente. Ancora. Nel libro di Vannucci è ricostruita pure la fase della liberazione di Piacenza dall’occupazione tedesca – fra il 27 e il 28 aprile del 1945 – in modo succinto, ma completo. Anche i perigliosi momenti dell’8 settembre del ’43 – quando i militari, pure da noi, furono improvvisamente lasciati senza disposizioni – sono ricostruiti con grande accuratezza, sulla base – soprattutto – di notizie d’archivio di natura militare in gran parte inedite e di speciale, grande interesse».
Il maggiore David Vannucci ha illustrato il contenuto del libro: «Una storia fatta di tante storie, non solo ufficiali – ha spiegato -, anche perché di documenti ufficiali ce ne sono pochi: dopo l’Armistizio i campi sono stati occupati dai tedeschi che li hanno saccheggiati. Per fortuna l’Archivio storico dell’Esercito è ancora intatto». L’autore ha sottolineato come quello di Piacenza fosse un territorio adatto ad ospitare campi di prigionia: sia perché importante nodo ferroviario (i prigionieri viaggiavano in treno) sia perché c’erano strutture esistenti, di proprietà di istituti religiosi, adatte allo scopo. Ancora, Piacenza aveva già nella Grande guerra conosciuto le esperienze dei campi di Gossolengo e Cortemaggiore. Con il secondo conflitto mondiale il primo campo ad aprire (1941) fu quello nel castello di Rezzanello, di proprietà delle suore Orsoline (ospitò 150 prigionieri, britannici e sudafricani prima, civili greci poi, con 100 soldati a custodirli). A Cortemaggiore il campo era stato ricavato nel convento dei frati minori (230 i prigionieri, soprattutto jugoslavi, con 110 soldati di guardia). Poi ci fu Veano, nella villa di proprietà dell’Opera Pia Alberoni (250 posti, 110 soldati), che diventò la prigione degli ufficiali inglesi. Infine Montalbo, costituito nel 1942, con ufficiali britannici e dei dominions (150 posti). «La gestione dei campi non era semplice – ha osservato il maggiore Vannucci -. C’erano problemi di lingua, sanitari, igienici, di alimentazione. E si doveva trovare un modo per far passare il tempo ai prigionieri, che avevano in testa una sola idea: quella di fuggire». Dalla ricerca storica dell’autore sono emersi aspetti molto interessanti: «L’umanità sei soldati italiani che legarono con i prigionieri; la forte centralità nei prigionieri verso gli affetti nella madrepatria; la fuga dopo l’8 settembre e la decisione di combattere insieme ai partigiani; l’accoglienza ricevuta nelle nostre vallate, la complicità con la popolazione che nascose i prigionieri a rischio della propria vita».
Piacenza in quel periodo non fu solamente terra di campi di prigionia ma anche grande città-ospedale, con le strutture del Collegio Morigi e del Collegio Alberoni trasformate in ospedali militari. Sabato è stata organizzata una visita guidata alle ex strutture sanitarie per i prigionieri di guerra, a cura dell’associazione Archistorica di Manrico Bissi, in collaborazione con la Banca. Anche l’architetto Bissi ha sottolineato l’aspetto umano che emerge dalla lettura del libro: «Nel nemico si riuscì ad individuare un avversario, con la sua dignità e umanità».