Doveva essere condotto in carcere, ma era latitante a Capo Verde. Parliamo di Alfonso Filosa, ex direttore dell’ufficio provinciale del lavoro di Piacenza condannato per corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio, peculato, induzione, concussione, continuata ed in concorso: in sostanza l’uomo, oggi 69enne, sarebbe stato al centro di un giro di tangenti in cambio di favori ad imprenditori, soldi per evitare controlli nelle loro aziende. L’arresto scattò il 24 giugno del 2009, quando i carabinieri colsero sul fatto, e filmarono, il passaggio di denaro da un imprenditore a Filosa, nel suo ufficio di Direttore generale del Lavoro: un assegno di 1500 euro ricevuto dall’amministratore delegato di una ditta di Fiorenzuola a titolo di bustarella. Il 27 giugno il Nucleo Investigativo di Piacenza notificò la misura cautelare in carcere allo stesso Filosa, alla moglie Rosaria Cascone e alla figlia Maria Teresa Filosa.
Il 22 settembre, sempre del 2009, i carabinieri del Nucleo Investigativo di Piacenza notificarono una nuova misura cautelare a Filosa, già detenuto in quel periodo nel carcere di Opera. Per lui sequestro preventivo di 140mila euro. Le indagini si conclusero il 22 ottobre del 2009: Filosa aveva già scontato 5 mesi e 18 giorni in carcere e 3 mesi e 7 giorni agli arresti domiciliari. Nel 2012 si avviò la fase processuale e il 1 ottobre 2013 arrivò la condanna in primo grado: 15 anni e 4 mesi. In secondo grado la pena fu ridotta a 11 anni e 5 mesi, sentenza confermata dalla corte d’appello di Bologna il 20 novembre 2015.
Il 21 settembre 2016 la procura generale ha emesso il titolo esecutivo per la cattura incaricando il nucleo investigativo dei carabinieri di Piacenza dell’esecuzione. Ma Filosa, che doveva scontare ancora 10 anni, 8 mesi e 5 giorni, non si trova. “Inizialmente abbiamo pensato che stesse trascorrendo gli ultimi periodi di libertà insieme alla famiglia, a Castellammare di Stabia, ma presto ci siamo resi conto che in realtà era irreperibile dal 21 settembre 2016 e che aveva messo in pratica tutti gli accorgimenti tipici che preludono alla latitanza – spiega il comandante del Nucleo Investigativo Massimo Barbaglia – aveva chiuso i conti correnti, aveva rescisso ogni tipo di contratto con compagnie telefoniche e pay tv, aveva venduto le auto e addirittura si era separato dalla moglie che invece era rimasta a Piacenza. Di lui non vi era più nessuna traccia. Ha deciso di darsi alla macchia quando ha capito che il suo ricorso alla Suprema Corte di Cassazione sarebbe stato sicuramente rigettato, cosa avvenuta il 20 settembre 2016”. A quel punto gli investigatori hanno dovuto affidarsi alle più evolute tecnologie a disposizione per un’indagine difficilissima, coordinata dal sostituto procuratore Giancarlo di Ruggiero della procura generale di Bologna. I carabinieri hanno scoperto che Filosa aveva aperto un nuovo conto corrente in una banca di Milano e che effettuava tutte le operazioni a distanza tramite il sistema dell’home banking (semplicemente attraverso il pc o lo smartphone): gli accessi al server, però, erano piuttosto confusi dal momento che una volta risultava connesso da New York, poi da Lisbona, poi da Londra e via dicendo. I militari hanno capito che l’uomo stava utilizzando un sistema per rendersi irreperibile.
Scavando ancora più a fondo i gli inquirenti hanno scoperto un punto per così dire “fisso”, che non variava mai: la città di Praia, capitale di Capo Verde. Per chiedere l’intervento dell’Interpol, però, i militari avevano bisogno di qualche informazione in più. La conferma è arrivata il giorno in cui Filosa ha commesso un errore fatale, ritirando allo sportello bancomat e permettendo così una sua collocazione precisa: il ricercato si trovava sulla spiaggia di Santa Maria, centro turistico sull’isola di Sal, situata nell’arcipelago delle Barlavento Islands, nella Repubblica Presidenziale di Capo Verde. Alle 20,30 dell’8 aprile 2017 la Policia National de Cabo Verde, su incarico dell’Interpol, raggiunge Filosa e lo arresta. Ora si trova in carcere sull’isola in attesa di essere estradato.
Dubbi ha sollevato anche la moglie di Filosa, che ha sempre negato di conoscere la posizione del marito: gli elementi raccolti lascerebbero infatti pensare che la donna sapesse tutto di lui e che la separazione fosse solo uno strumento in più al servizio della latitanza: dopo essersi lasciati, infatti, l’uomo pagava regolarmente gli alimenti alla moglie ma quest’ultima versava di nuovo il denaro su un conto corrente riferito al compagno. Inoltre la donna sarebbe stata vista proprio a Capo Verde insieme a lui.