«Se vogliamo curare la bassa crescita dobbiamo riconoscere che c’è un problema di competitività che va recuperata smettendo di “peccare”». Questa la ricetta di Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano (già direttore del Fondo monetario internazionale) per ridare ossigeno alla nostra economia («che rischia di nuovo una fase di recessione»), contenuta nel suo ultimo libro I sette peccati capitali dell’economia italiana (Feltrinelli), presentato nel corso di un incontro organizzato da Banca di Piacenza e Arca Fondi Sgr a Palazzo Galli (gremiti il Salone dei depositanti e la Sala Panini, collegata in videoconferenza). L’autore ne ha parlato in dialogo con il piacentino Francesco Daveri, editorialista del Corriere della Sera e direttore del Master Business Administration della SDA Bocconi. I due relatori sono stati punzecchiati dalle domande del giornalista Andrea Cabrini, direttore di Class-Cnbc, che si è fatto portavoce anche dei quesiti posti dal pubblico in tempo reale, grazie a un sms dedicato. Nel suo saluto introduttivo, il direttore generale della Banca di Piacenza Mario Crosta ha invitato «a non lasciarsi sopraffare dalla dittatura dello Spread, cercando di guardare al di là dell’ostacolo». Per Cottarelli, dunque, le piaghe che “infettano” il sistema Italia («dove l’economia è cresciuta poco negli ultimi 20 anni e il divario con gli altri Paesi dell’Area Euro, rispetto al reddito reale pro capite, è sempre maggiore») sono sette, come i vizi e le virtù: l’evasione fiscale (un dato per tutti dimostra che da noi si evade di più che nella maggior parte dei Paesi avanzati: la percentuale di evasione sull’Iva nel 2014 vedeva l’Italia al 5° posto tra i 28 Paesi Ue; l’evasione ci costa 130 miliardi l’anno); la corruzione (nel mondo, il nostro Paese nel 2017 era al 54° posto rispetto alla percezione della corruzione); la burocrazia (nel 2018 l’indice di facilità nel condurre un’attività imprenditoriale ci vede in 46esima posizione a livello mondiale); la lentezza della giustizia (dato del 2014: la durata media dei processi in Italia era di 7 anni e 8 mesi, contro i 3 anni e 5 mesi della Francia, i 2 anni e 3 mesi della Spagna, i 2 anni e 2 mesi della Germania e l’anno e 4 mesi della Polonia); il crollo demografico (vedendo l’andamento del tasso di fertilità dal 1968 al 2016, si nota come il nostro Paese fosse, rispetto alla Svezia, molto più prolifico almeno fino al 1980; da allora siamo abbondantemente al di sotto; l’immigrazione è per ora l’unica forza che contiene il crollo del tasso di natalità); il divario tra Nord e Sud («profondissimo», come dimostra l’andamento del reddito pro-capite del Sud rispetto al Centro-Nord dal 1861 al 2016); la difficoltà a convivere con l’Euro («la perdita di competitività che abbiamo osservato dopo l’entrata nell’euro resta elevata. Si sta riducendo rispetto alla Germania, dove i costi di produzione stanno finalmente salendo, ma ora abbiamo perso competitività rispetto ai Paesi del Sud Europa»). A parere dell’autore «i sette peccati riconducono ad un unico vizio, causa o aggravante di tutti gli altri: la mancanza di “capitale sociale”, ossia la capacità di incorporare nelle proprie decisioni le conseguenze che le proprie azioni hanno sugli altri». Una diversa declinazione di quello che tradizionalmente viene definito “senso dello Stato” o “rispetto della cosa pubblica”.
Carlo Cottarelli ha concluso il suo intervento precisando che «non abbiamo molto tempo per riformare l’economia italiana prima che uno choc internazionale ci colpisca e – causa la nostra fragilità – ci affondi. Occorre un cambio di passo e smetterla con i rinvii».
Il prof. Daveri si è trovato spesso sulla stessa lunghezza d’onda di Cottarelli. Si è detto contrario alla pace fiscale contenuta nella manovra economica del governo («basta condoni»), ha sostenuto che la corruzione si combatte scrivendo le leggi in modo più semplice e che la burocrazia si può limitare con l’uso della tecnologia. Entrambi hanno espresso dubbi sulla riforma pensionistica («chi paga i costi?»), sul reddito di cittadinanza («disincentiva la ricerca di un’occupazione») e sull’uscita dal sistema Euro («i sovranisti sbagliano, senza euro farà molto più freddo e saremo giudicati ancor più severamente dai mercati»).