“Celebriamo questo primo maggio in un momento molto difficile, pieno di tensioni internazionali e di questioni sociali che ci impongono delle riflessioni profonde. Lo facciamo esattamente a 60 anni dai Trattati di Roma 25 marzo 1957 con cui si istituì la comunità economica europea. Gettate le basi per la costituzione dell’europa politica, che in realtà e un sogno ancora da compiere. Un’Europa che è in profonda crisi economica, istituzionale, sociale, lontana dall’idea di chi ha sognato l’unione dei popoli del vecchio continente come strumento di rafforzamento dei diritti dei più deboli, dello stato sociale, dell’uguaglianza. Siamo scesi in piazza proprio poche settimane fa per rivendicare questi valori, chiedere un cambiamento radicale delle politiche economiche e sociali, un’europa con più uguaglianza”. Questo il discorso di Gianluca Zilocchi, segretario provinciale della Cgil, in occasione delle celebrazioni del 1 Maggio, oggi in piazza Cavalli.
Il lavoro è finalmente tornato ad essere al centro della discussione politica e grazie al nostro impegno e alle nostre sfide si liberano nuove energie, i temi della dignità e della qualità tornano ad essere un valore riconosciuto.
Stiamo restituendo fiducia e speranza alle persone, l’idea che le cose si possono cambiare, che la deriva verso la precarietà si può arrestare. Troppo spesso abbiamo sentito parlare di lavoro come se fosse una variabile dipendente, ma invece il lavoro è vivo, é fatto di donne e uomini in carne e ossa che faticano, non è solo start up, coworking, esistono ancora e sono la stragrande maggioranza i lavori più tradizionali, spesso pesanti, umili, si fanno freni delle nostre auto in capannoni con appalti subappalti con il padrone che decide chi lavora e chi no, ci sono i molatori stranieri che lavorano in ambienti che sembrano usciti dall’800, ci sono gli addetti delle raccorderie, pulizie, facchini, giornalisti pagati a pochi euro a pezzo.
Vogliamo oggi rilanciare le proposte di rendere più democratiche e trasparenti le istituzioni economiche europee che sono le stesse che in questi anni hanno imposto scelte sbagliate e dolorose. Chi le decide? Chi e cosa rappresentano? Su quali basi e su quali mandati agiscono? A chi rendono conto? Abbiamo il diritto di decidere e di influenzare le scelte e le strategie. Direi anche le persone che governano queste istituzioni. Un nuovo modello di partecipazione e di cittadinanza.
Un’europa in cui il tema del lavoro è stato relegato all’ultimo posto delle priorità politiche, ridotto a merce di scambio, sottovalutato. I diritti diventano privilegi, le tutele degli ostacoli al cambiamento. L’europa può e deve essere ben altra cosa. Ce lo impongono la nostra storia, i nostri valori, la nostra cultura. La questione dell’immigrazione, dell’accoglienza dei profughi, l’incapacità a trovare un governo condiviso di questo fenomeno da parte dei paesi con più responsabilità, stanno generando dei mostri. Il sonno della ragione genera mostri
Tornano i muri, torna il terrorismo, torna la violenza, l’intolleranza. Il vento di un nuovo fascismo spira forte, sottile, pericoloso come un gas insapore anche alle porte di casa nostra. Solo un’europa più equa può dare le risposte giuste alle paure e alla solitudine dei suoi cittadini. Tornano le guerre, le stragi di innocenti, i regimi, torna perfino l’incubo del nucleare. “La terza guerra mondiale può scoppiare da un momento all’altro”. In questo l’europa ha un ruolo e delle responsabilità ben precise
E l’Italia ancora di più. La Costituzione, ne abbiamo parlato molto, forse troppo poi ci dimentichiamo che la nostra carta fondamentale art.11 dice che l’italia ripudia la guerra Gentiloni dopo il bombardamento di trump in siria ha detto che l’azione era motivata Pace come elemento fondante della nostra repubblica, non esistono deroghe all’art.11. Impegniamoci di più su questo fronte, smettiamo di produrre e di vendere armi a questi paesi
Ma la costituzione è anche articolo 1. Il lavoro è quel valore su cui abbiamo ricostruito il paese, sono le nostra fondamenta comuni, ma queste fondamenta sono state pesantemente minate. Il valore del lavoro ce l’avevano ben presente le donne e gli uomini che 70 anni fa, in questa giornata, si trovavano a portella della ginestra per festeggiare il ritorno del primo maggio dopo il fascismo, che l’aveva spostato al 21 aprile. Fu la prima strage di stato, ancora oscura per molti versi, sotto il fuoco della banda di Salvatore Giuliano rimasero uccisi due bambini, 9 adulti, lavoratori, contadini che manifestavano contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte.
Quest’anno cgil Cisl e Uil hanno deciso di tornare in quei luoghi densi di significati tragici ma anche pieni di voglia di riscatto. Onorare le vittime e la memoria storica, tramandarla. La difesa del lavoro e dei lavoratori è una questione di civiltà, soprattutto oggi dove a fronte di un grande progresso tecnologico regrediamo sul piano di valori come la partecipazione, il rispetto per gli altri, la tolleranza, la difesa dei più deboli.
Ma regrediamo anche su questioni fondamentali come quelli della legalità se è vero, com’è vero, che anche i nostri territori in questa regione, da sempre modello virtuoso di civiltà, sono stati pesantemente infiltrati dalla malavita organizzata. Proprio in queste settimane a Reggio Emilia si sta svolgendo il maxi processo relativo all’inchiesta Aemilia che ha svelato una rete fitta di intrecci nella nostra regione tra la ndrangheta e diverse imprese, anche nell’ambito della ricostruzione post terremoto.
Una rete fatta di appalti al ribasso, di sfruttamento di lavoratori, di contratti non rispettati, di un’economia parallela che è un vortice di illegalità, soprusi, sopraffazione. I lavoratori si sono costituiti parti civili in questo processo e le nostre organizzazioni saranno sempre in prima fila a lottare contro questo vero e proprio cancro. Lo siamo stati a portella della ginestra nel 47, lo siamo stati a Palermo nel 93 con giovanni falcone e paolo borsellino, abbiamo pagato con il sangue il nostro impegno e voglio ricordare anche Pio La Torre di cui proprio in questi giorni cade il 35mo anniversario dell’uccisione da parte della mafia, lo siamo oggi, in casa nostra. Anche perché gli effetti di queste presenze indesiderate si sono fatti sentire in modo davvero pesante, le intercettazioni hanno rivelato proprio nel sistema degli appalti la via principale per queste infiltrazioni. Questa regione é stata ferita in modo doloroso ma ha saputo reagire in modo forte, coordinato, deciso. Lo ha fatto con la politica, lo ha fatto con la reazione di tutta le parti sane della nostra società che hanno saputo lanciare segnali forti. Lo hanno fatto la giustizia, le istituzioni, quel processo, quell’aula di tribunale con le gabbie, parla a tutti noi. Mai più. Lo abbiamo fatto noi, con i nostri strumenti, e non è un caso se il 22 ottobre abbiamo riempito questa città e questa piazza con una grande manifestazione che chiedeva con forza risposte concrete su questi temi, partendo dal settore che è diventato l’emblema di questa situazione, che è quello della logistica .
E abbiamo ottenuto un risultato molto importante, la legge regionale sugli appalti e la legalità, il testo unico, è oggi un punto di riferimento insostituibile per le nostre battaglie, ma è ogni giorno, con i nostri contratti, i nostri accordi per garantire i posti di lavoro nei cambi appalto, le clausole sociali, le imprese di pulizia, le mense, un lavoro enorme che non fa notizia ma che i nostri lavoratori conoscono bene, i protocolli con i comuni e con le istituzioni che anche a Piacenza siamo riusciti a fare, è con tutto questo enorme sforzo che andiamo avanti quotidianamente anche per cambiare la cultura attorno ai lavori più faticosi.
Basta con il massimo ribasso e i minimi costi. Il lavoro ha un suo valore e una sua dignità. Una cultura che va ripensata profondamente con una battaglia e una sfida per i diritti che abbiamo il dovere di fare e di vincere. In questo senso la scelta del governo di restituire ai lavoratori in appalto il diritto di sapere che i loro stipendi, i loro contributi, sono garantiti anche se l’impresa per cui lavorano li abbandona nel nulla, come purtroppo abbiamo visto troppe volte, è una LORO vittoria, di quei lavoratori, ed è un patrimonio di tutti noi, di tutto il mondo del lavoro.
Un mondo del lavoro che esce da anni di svilimento, di umiliazione, il lavoro è diventata una merce, uno scontrino, vince chi spende meno e si arricchisce alle spalle delle persone. È passata l’idea che la crisi fosse l’occasione per dare una spallata definitiva alle conquiste e ai diritti, al Welfare universale, é passata l’idea che discriminare una persona fino ad arrivare magari fino al suo licenziamento sia un comportamento accettabile, e comunque non sanzionabile.
Ci siamo detti tante volte che la crisi ha ridotto il lavoro, ma non basta, è andata anche peggio. Il lavoro con la crisi è cambiato, profondamente, reso sempre più precario, debole, occasionale. Oggi se anche hai un lavoro difficilmente riesci a garantirti una vita dignitosa.
Ma oggi abbiamo nuove possibilità nuove opportunità. Il lavoro è finalmente tornato ad essere al centro della discussione politica e grazie al nostro impegno e alle nostre sfide si liberano nuove energie, i temi della dignità e della qualità tornano ad essere un valore riconosciuto. Stiamo restituendo fiducia e speranza alle persone, l’idea che le cose si possono cambiare, che la deriva verso la precarietà si può arrestare.
Troppo spesso abbiamo sentito parlare di lavoro come se fosse una variabile dipendente, ma invece il lavoro è vivo, é fatto di donne e uomini in carne e ossa che faticano, non è solo start up, coworking, esistono ancora e sono la stragrande maggioranza i lavori più tradizionali, spesso pesanti, umili, si fanno freni delle nostre auto in capannoni con appalti subappalti con il padrone che decide chi lavora e chi no, ci sono i molatori stranieri che lavorano in ambienti che sembrano usciti dall’800, ci sono gli addetti delle raccorderie, pulizie, facchini, giornalisti pagati a pochi euro a pezzo.
Adesso è ora di riaprire i tavoli di confronto con il governo, lo pretendiamo, forti del consenso che abbiamo saputo costruire, dobbiamo essere capaci di riprenderci in mano il ruolo nostro che è quello della contrattazione.
Della protesta si, ma anche della proposta.
Abbiamo idee, progetti, non accettiamo di passare come quelli che vogliono solo distruggere. Quello che esce sconfitto è un modello in cui il confronto, il riconoscimento del nostro ruolo di mediazione sociale, il dialogo, la contrattazione sono visti come un retaggio del passato, un ostacolo, un fastidio da allontanare. È un modello che elimina il sindacato ma che è sbagliato è perde, perché quando le politiche sono contrattate, sono mediate, i risultati che si producono sono migliori, più solidi. Parlo di coesione sociale, di riconoscimento, di uguaglianza. L’idea del sindacato, della rappresentanza collettiva è alternativa a quel modello e noi non rinunceremo mai a questa funzione.