Proseguono le iniziative proposte dall’associazione 100×100 in Movimento, dedicate ai Caduti delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio delle quali ricorre il 25esimo anniversario. Oggi, venerdì 12 maggio, è stato ospite dell’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano Angelo Corbo, poliziotto di scorta di Giovanni Falcone, sopravvissuto alla strage di Capaci del 23 maggio 1992. Angelo Corbo ha recentemente pubblicato il libro: “Strage di Capaci. Paradossi, omissioni e altre dimenticanze”. In questo volume analizza gli aspetti umani della strage, le emozioni di quel momento, e soprattutto apre una finestra sull’atteggiamento dello stato italiano verso le vittime, sviscerandone alcuni aspetti critici. Descrive la vita quotidiana degli uomini che prestano servizio di scorta.
Oggi incontra gli studenti delle scuole, cosa dire a un gruppo di giovani del Nord Italia per sensibilizzarli sulla mafia, che spesso appare come un fenomeno prettamente del Sud?
“I giovani non sono insensibili, spesso siamo noi adulti che sottovalutiamo il problema e non facciamo capire ai nostri figli che la mafia non è una piaga solo del Sud. Spesso portiamo i ragazzi a percepire la mafia come un problema relegato alla storia e a una determinata area geografica, ma non è così. Dopo aver mangiato la dignità delle popolazioni meridionali la criminalità organizzata ha cercato nuovi territori da conquistare. Oggi è un problema di tutti”.
Cosa ricorda di quel giorno?
“Ricordare quel giorno mi causa molto dolore. E infatti in tanti mi chiedono perché vado in giro per l’Italia a parlarne. Il fatto è che come superstite io posso raccontare veramente quell’episodio storico: molti hanno scritto libri e girato documentari basandosi sulle testimonianze, sulle indagini, sulle cronache. Io quell’episodio l’ho vissuto in prima persona e posso raccontare ciò che accadde in quella macchina, su quella strada. E raccontare è importante, è la vera arma contro la mafia perché la mafia vuole il silenzio, silenzio intorno ai suoi affari e intorno alle sue azioni. Ogni articolo giornalistico, ogni servizio in tv, ogni convegno come quello di oggi infastidisce i mafiosi e li spinge a riportare il silenzio con la forza. Con il silenzio, con l’ignoranza possono manovrarci come meglio credono”.
Oggi sono ancora numerose le persone che si devono difendere e proteggere dalla mafia: giornalisti, imprenditori, commercianti…lo Stato è presente per queste persone, oggi?
“Lo Stato si è dimostrato sempre presente in maniera marginale, non solo oggi ma anche con persone come me. Io ho continuato a lavorare nella polizia nonostante quello che mi è successo, però sono stato dimenticato, esattamente come gli altri tre superstiti. E’ come se fossimo colpevoli, come se fossimo sbagli da nascondere. Ci sono tante persone che lottano contro la mafia, costretti a vivere sotto scorta e quindi prigionieri, e non ricevono rispetto”.