Coldiretti torna ad attaccare il CETA, accordo di libero scambio tra Canada e Unione Europea. “Sulla base dei dati Istat più aggiornati, in netta controtendenza all’aumento fatto registrare sui mercati mondiali, le esportazioni di Grana Padano e Parmigiano Reggiano in Canada sono crollate del 10% in valore e del 6% in quantità nel primo trimestre del 2018 rispetto al quello dell’anno precedente e si tratta del confronto più significativo per valutare gli effetti preliminari dell’accordo di libero scambio con l’Unione Europea (Ceta), entrato in vigore in forma provvisoria solo il 21 settembre 2017. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare le dichiarazioni riportate dal Corriere della Sera del Presidente del Consorzio del Grana Padano Cesare Baldrighi sulle esportazioni di Parmigiano Reggiano e Grana Padano in Canada dove il Ceta avrebbe dovuto frenare le imitazioni e migliorare l’accesso al mercato”.
“Stupisce e preoccupa – sottolinea la Coldiretti – che il presidente del Consorzio non conosca gli ultimi numeri aggiornati delle vendite sui mercati esteri dei prodotto che dovrebbe tutelare e si avventuri in considerazioni errate supportate da dati vecchi e fuorvianti, quando sarebbe bastato fare una verifica sul sito del commercio estero dell’Istat facilmente accessibile a tutti (https://www.coeweb.istat.it). Ancora più grave – continua la Coldiretti – è che non venga neanche citato il fatto che con il trattato l’Unione Europea per la prima volta si autorizza all’estero l’utilizzo della traduzione inglese Parmesan del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, per formaggi che non hanno nulla a che fare con le due specialità Made in Italy più vendute nel mondo. Un precedente disastroso a livello internazionale – sottolinea Coldiretti – contro il quale si sono battuti da sempre i Consorzi di Tutela dei due formaggi che hanno proprio nelle imitazioni il concorrente più temuto all’estero”.
“A diminuire in Canada sono state anche le esportazioni dall’Italia dell’intera categoria formaggi e latticini che risultano in calo in valore del 2% nel primo trimestre del 2018 rispetto allo stesso periodo dell’anno, sulla base delle elaborazioni Coldiretti su dati Istat. Al contrario nei primi tre mesi del 2018 sono stati prodotti in Canada ben 3 milioni di chili di falso Parmigiano Reggiano (Parmesan), 2,3 milioni di ricotta locale, 970mila chili di Provolone taroccato senza dimenticare che ci sono addirittura 36,1 milioni di chili di mozzarella e ben 68mila chili di un non ben identificato formaggio Friulano, che certamente non ha nulla a che vedere con la Regione più a Nord est d’Italia, secondo le elaborazioni Coldiretti sui dati dell’ultimo rapporto del Governo canadese”.
“Questo accade perché in realtà sulla base del trattato oltre 250 denominazioni di origine (Dop/Igp) italiane riconosciute dall’Unione Europea non godranno di alcuna tutela sul territorio canadese mentre per la lista dei 41 prodotti Made in Italy ipoteticamente tutelati sono previste importanti eccezioni come il via libera all’uso delle traduzioni dei nomi dei prodotti tricolori (un esempio è il parmesan) ma anche la possibilità per alcune tipicità (come asiago, fontina e gorgonzola) di usare per le imitazioni canadesi gli stessi termini se erano presenti sul mercato nordamericano prima del 18/10/2013 mentre se l’attività è stata avviata successivamente si dovrà semplicemente aggiungere una indicazione come “genere”, “tipo”, “stile”. Per l’Italia l’opposizione è quindi giustificata dal fatto che con il Ceta per la prima volta nella storia l’Ue legittima in un trattato internazionale – conclude Coldiretti – la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, un cavallo di Troia nei negoziati con altri Paesi, dal Giappone al Messico, dall’Australia alla Nuova Zelanda fino ai Paesi del Sudamerica (Mercosur) che sono stati così autorizzati a chiedere lo stesso tipo di concessioni. A non essere tutelati dal Ceta ci sono anche i salumi piacentini. Coldiretti Piacenza ricorda infatti che dei 44 prodotti a denominazione di origine protetta dell’Emilia Romagna, solo 12 vengono riconosciuti dal Ceta, mentre gli altri 32 (tra cui i salumi piacentini) non godono di alcuna tutela”.
Ma Confagricoltura la vede diversamente: “Lascia davvero perplessi che nell’epoca dei big data ciascuno possa estrarre la propria personale statistica per dimostrare, sullo stesso argomento, quello che più fa comodo. Così sul Ceta (l’accordo di libero scambio tra l’Europa e il Canada) Coldiretti ha espresso un giudizio negativo a cui non si sono fatte attendere dure repliche che, statiche alla mano, nella stragrande maggioranza promuovono l’accordo. Sul Ceta il potere fra Bruxelles e le capitali viene condiviso: non bastano le ratifiche del Parlamento europeo e del Consiglio dei ministri, perché l’azzeramento dei dazi e dei vincoli agli scambi che prevede diventi definitivo. Si devono pronunciare tutti i parlamenti nazionali. Nell’attesa, da settembre scorso è sparito «in via provvisoria» il 98% dei dazi e vincoli alle vendite di prodotti europei in Canada, e viceversa. In futuro si tornerà al mondo di prima (senza accordo e con i dazi) solo se uno o più parlamenti nei 28 Paesi della Ue (Londra esclusa) rifiutasse di approvare. L’Italia è tra i maggiori beneficiari di questa entrata in vigore anticipata: le esportazioni del «made in Italy» in Canada sono già aumentate di circa l’8% rispetto allo stesso momento del 2017. Se la stessa tendenza si confermasse nei prossimi mesi, in un anno il fatturato delle imprese italiane salirebbe di circa 400 milioni di euro; in sostanza, questo significa almeno ottomila posti di lavoro in più. Questo era uno degli effetti prevedibili dell’intesa su cui Confagricoltura si è concentrata sin dall’inizio esprimendo parere favorevole. Il «made in Italy» vende ogni anno all’economia nord-americana prodotti per circa cinque miliardi di euro, registrando un surplus commerciale bilaterale di più di tre miliardi. Stravince negli scambi con una delle economie più avanzate al mondo. Con il Ceta in vigore questa posizione di vantaggio ha iniziato a rafforzarsi. Uno dei principali problemi riguarda i formaggi: prima, nessuno era riconosciuto in nessun modo, ma secondo Coldiretti la difesa dei nomi di origine non è blindata e i canadesi continueranno a vendere «parmesan». Malvisto poi anche il fatto che il Canada possa continuare a vendere il proprio grano duro, come fa già, ai produttori italiani di pasta. Poco importa, anche qui, che la produzione nazionale di grano copra appena due terzi del fabbisogno dei pastai e che l’Italia, grazie a spaghetti e maccheroni, fatturi in Canada oltre il triplo di quanto paghi per importare dal Nord America la materia prima. “Se il tema è che l’accordo non tutela tutte le nostre produzioni Dop e Igp – commenta il direttore di Confagricoltura Piacenza, marco Casagrande – allora è bene lavorare per miglioralo, ma non ratificarlo significherebbe scegliere di rinunciare a un mercato invece che cercare di presidiarlo. Le nostre eccellenze agroalimentari hanno dimostrato di saper veicolare il loro valore aggiunto rispetto ai prodotti similari realizzati su territorio canadese ed essere vincenti, sottrarci dal confronto significa abbandonare sbocchi commerciali già ottenuti. Come Confagricoltura siamo sempre stati favorevoli alla ratifica del trattato, pur nella consapevolezza che, come tutti gli accordi, può essere migliorato. Non è pensabile pensare di risolvere il problema dell’Italian sounding proibendo agli altri di produrre – prosegue Casagrande – dobbiamo puntare ad una comunicazione chiara e credere nelle nostre eccellenza. L’export di latticini, uova e miele verso il Canada è cresciuto del 10.42% in un anno, per i trasformati a base vegetale siamo oltre il 14%ì: un sistema incrociato di dazi affosserebbe le imprese”. Nell’impossibilità pratica di riuscire a strutturare accordi funzionali tra Paesi diversi, che siano al contempo rispettosi delle identità, delle peculiarità di ciascuno, si stanno sempre più facendo strada gli accordi bilaterali. “La nostra linea è chiara: non c’è dubbio che il mercato dell’agricoltura italiana debba essere, necessariamente, il mondo” – sottolinea Filippo Gasparini, presidente di Confagricoltura Piacenza. “L’avevamo detto un anno fa, lo ribadiamo oggi – prosegue Gasparini – L’apertura di nuovi mercati rappresenta una priorità imprescindibile per l’agroalimentare italiano che vede le commercializzazioni nazionali ormai ingessate da anni. È impensabile – prosegue Gasparini – difendere la nostra agricoltura arroccandoci nei nostri confini, con posizioni di chiusura o di protezionismo, più intelligentemente è necessario adattarsi al mondo che cambia. Le nostre aziende fanno reddito anche e soprattutto quando riescono a esportare le proprie eccellenze in Paesi che hanno un numero di abitanti in continua crescita o un grande potere di acquisto, come appunto il Canada, che vanta uno dei più alti redditi pro capite al mondo. Quanto ad altri timori di concorrenza sleale o di confusione commerciale, l’accordo che l’Europa ha siglato tutela le regole di sicurezza alimentare europee e ad oggi non abbiamo motivi di pensare che le nostre istituzioni non mantengano quale obiettivo imprescindibile la salvaguardia delle produzioni agricole e agroalimentari made in Italy. Ben vengano, dunque – conclude il presidente di Confagricoltura Piacenza – gli accordi che individuando nicchie di mercato sì, ma a livello globale”.