Nas a casa di Gianna Casella a caccia del batterio che l’ha uccisa

Inchiesta sulla morte di Gianna Casella, i carabinieri del Nas hanno prelevato in questi giorni alcuni campioni di terra dall’orto dell’abitazione della nota cantante scomparsa nei giorni scorsi. Ricordiamo che la piacentina 70enne è stata uccisa dall’escherichia coli, un batterio che, secondo il medico legale Novella D’Agostini, si può annidare in sostanze alimentari esclusivamente di provenienza extraeuropea. Il che rafforzerebbe il nesso tra il piatto di cozze che Gianna Casella avrebbe mangiato quattro giorni prima di morire in un ristorante orientale della città e l’infezione che l’ha uccisa.

Radio Sound

Ma gli inquirenti non vogliono lasciare imbattuta nessuna strada, e così hanno voluto sondare anche il terreno dell’orto di famiglia.

La notizia è stata confermata da Franco Peveri, marito della defunta cantante. “Sì è vero, si sono recati nell’orto e hanno estratto campioni di terreno da analizzare. Hanno anche preso in consegna un sacchetto di concime organico da me utilizzato informandosi su dove l’avessi comprato”.

Ma Peveri ha tenuto sottolineare come, data la stagione, fosse molto tempo ormai che non attingevano verdure dall’orto: “Non raccogliamo ortaggi dal nostro piccolo appezzamento di terra, però a me fa ugualmente molto piacere che siano venuti a controllare. Io ormai sto soffrendo e soffrirò per sempre, ma almeno queste indagini a 360 gradi danno la possibilità di chiarire le vere cause del decesso di mia moglie e quindi le responsabilità, magari dissipando i sospetti intorno a coloro che, loro malgrado, si sono ritrovati coinvolti nella vicenda. Io non voglio causare problemi a nessuno, io mi sono limitato a raccontare i fatti agli inquirenti e da lì è scattata l’indagine. Ma sono fiducioso perché ho visto come i carabinieri del Nas stanno conducendo le indagini e stanno dimostrando grande professionalità e preparazione”.

Federico Gazzola

 

ESCHIRICHIA COLI – Si tratta di un comune abitante del nostro tratto intestinale ma ne esistono alcune varianti, dette serotipi, che possono essere letali. In merito abbiamo ascoltato l’opinione esperta del dottor  Daniele Vallisa, del reparto malattie infettive dell’Ospedale Guglielmo da Saliceto.

L’ematologo, intervenendo sulla morte di Gianna Casella, tende a tranquillizzare l’opinione pubblica su questo tipo di batterio, la cui diffusione è piuttosto comune ma sensibilmente più rara per quanto riguarda le sue varianti letali che causano seri problemi in pazienti già immunodepressi.

L’ infezione, quando è definita severa, può deprimere il midollo scatenando reazioni tra piastrine e globuli rossi che si “mangiano” tra di loro. La presenza di escherichia coli nelle urine, invece, è ritenuta di ordinaria amministrazione, in quanto può essere trattata e risolta in modo agevole ricorrendo a specifici antibiotici.

Della presenza di questo batterio nel cibo abbiamo parlato anche con  il professor Piersandro Cocconcelli, docente di microbiologia degli alimenti all’Università Cattolica, il quale ha ricordato come l’escherichia coli sia già stata al centro della cronaca nel 2001 per una epidemia dovuta ai cetrioli olandesi e poi ai germogli di soia, comunque riconducibile a verdura concimata con il liquame infetto e successivamente non adeguatamente lavata.

Cocconcelli ha infine ricordato che la cottura elimina tutte le forme di escherichia coli, anche quelle letali, benché tutte le forme non siano patogene. (Le interviste sono ascoltabili integralmente a fondo pagina)

Andrea Crosali e Domenico Genovese