In fuga dalle bombe africane, la storia dei rifugiati “invisibili”

Si è celebrata ieri in tutto il mondo la “Giornata Mondiale dei rifugiati” anche se a Piacenza la ricorrenza è stata completamente ignorata. Nonostante l’indifferenza, nella nostra città sono ben 73 gli stranieri presenti che hanno chiesto asilo politico e si trovano quasi tutti ospiti del FerrHotel di fianco alla stazione. Per questo abbiamo deciso di fare una visita alla struttura trovando, a differenza si quanto si possa pensare, una realtà pulsante di storie e speranza verso il futuro.

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Una struttura gestita da privati, con il supporto della Protezione civile, che ha il compito di dare accoglienza a coloro che, per vari motivi, hanno dovuto lasciare il loro paese.

Motivi che comunque, anche se di diversa espressione, si possono riassumere in un’unica parola: guerra.

Dal Bangladesh alla Tunisia, passando per la Costa d’Avorio, l’Egitto e la Libia, non c’è persona ospitata che possa dire di essere partita da una terra in pace.

E’ il caso della bella storia di Roussel e la sua famiglia. Lui, poco più che ventenne, decise che per dare un futuro a sua figlia non avrebbe avuto altra scelta se non quella di partire. Scappare da uno dei paesi più corrotti del mondo (dall’elenco Trasparency International) e che negli ultimi tempi, a causa della crisi economica, aveva fatto intraprendere una decisa repressione poliziesca da parte del presidente in carica, Paul Biya, preoccupato da spinte separatiste.

Così, raccolte poche cose, intraprese il suo viaggio della speranza. Attraversò con la moglie e la piccola, di pochi mesi, il deserto dal Camerun attraverso Nigeria, Niger per poi approdare in Libia. “Sono scappato perché la polizia non lasciava respiro, l’ambiente si faceva sempre più pericoloso” ha spiegato Roussel. “Qui però ho dovuto prendere un barcone, due giorni di mare per approdare a Lampedusa” ha aggiunto. Un grande rischio, in particolare per la figlia e la moglie, anche se il ragazzo, ricordando quei giorni, non sembra avere rimpianti: “Ho visto la morte in quelle quarantottore ma Dio è grande. Ho una compagna e una bambina, non desideravo altro che trovare pace per la mia famiglia”.

Ma quel che stupisce, ora che si trova al sicuro al FerrHotel, sono le aspirazioni. “Vorrei fare un corso professionale” ci confida. E per cosa, gli chiediamo? “Per diventare saldatore. E’ un bel lavoro e mi hanno detto che in Italia c’è bisogno”.

E’ un ventenne e non ha cellulari, computer, una macchina. In attesa dei documenti ha solo quel poco che l’organizzazione della struttura gli passa per sopravvivere. Eppure ha una moglie che pare innamoratissima e una figlia per la quale ha rischiato la vita. Per questo, forse, sperare di poter diventare saldatore, gli appare ora come una prospettiva quasi eroica.

A gestire il FerrHotel è invece Mohamed, anche se non da solo, anch’egli arrivato come rifugiato. “Siamo fortunati a Piacenza” ha detto, “anche perché le stanze sono ben curate, non abbiamo nessun problema, l’unica cosa sono i tempi troppo lunghi per ottenere i documenti”.

La maggior parte degli stranieri, infatti, non vorrebbe rimanere sul nostro territorio ma andare a ricongiungersi con la propria famiglia. “Soprattutto i tunisini” continua Mohamed, “la maggior parte puntano ad andare in Francia o in Belgio dove hanno maggiore possibilità di stabilizzarsi”.

E’ sulla percezione della città verso questa realtà che, però ci tiene a sottolineare come “l’unica cosa” ha chiosato “è che si fa un gran parlare di via Roma, dei Giardini Margherita, della criminalità e nessuno si accorge di noi. Delle brave persone che ci sono qui: rispettano le regole, cercano lavoro eppure si parla solo degli aspetti negativi degli stranieri e mai di quelli esemplari”.