La nona edizione della manifestazione “Piacenza Jazz Fest” torna sabato 24 marzo 2012 con un concerto serale e un evento pomeridiano. In serata, il festival tocca uno dei suoi punti più alti ospitando la Ray Anderson’s Pocket Brass Band, che si esibirà alle ore 21.15 al teatro “President” di Piacenza in Via Manfredi 30 (biglietteria serale dalle ore 19.30; posti numerati; biglietto intero euro 16 – Biglietto ridotto euro 13; concerto fuori abbonamento. Riduzione: under 20, over 65, Soci “PC Jazz Club”, allievi Conservatorio “Nicolini” di Piacenza, Soci “Qui Touring”). Con questo concerto “Piacenza Jazz Fest” rinnova la pluriennale collaborazione con la kermesse itinerante Crossroads, curata da Jazz Network e giunta alla sua tredicesima edizione. Il chicagoano Ray Anderson (trombone e voce) sarà affiancato sul palco da tre eccellenti comprimari: Lew Soloff alla tromba, Matt Perrine alla tuba ed Eric McPherson alla batteria.
Alle ore 17.30, presso l’aula didattica della “Galleria d’Arte Moderna Giuseppe Ricci Oddi” di Piacenza, è in programma la presentazione del libro “Storia del jazz. Una prospettiva globale” (Ed. Stampa Alternativa) di Stefano Zenni, musicologo e presidente SIdMA – Società Italiana di Musicologia Afroamericana (ingresso libero).
Il marchio di un grande artista si vede dalla sua capacità di andare oltre l’eccellenza tecnica e di impartire una personale visione, un senso dello stile e una forma espressiva che sono indelebilmente propri; tra i musicisti jazz moderni, nessuno arriva a questi standard più di Ray Anderson, che unisce tradizione e avanguardia ed è musicalmente il più interessante e il più tecnicamente virtuoso trombonista della scena jazz internazionale, la cui sublime padronanza dei trucchi del mestiere è eguagliata dallo spirito generoso che riversa nel suo suono. Anderson è stato nominato per cinque anni consecutivi miglior trombonista dal sondaggio promosso dalla rivista “DownBeat” e definito “il più emozionante suonatore di ottoni della sua generazione” dalla “Penguin Guide to Jazz on CD”. Il periodico svizzero “Die Weltwoche” scrive di lui: “Anderson non è solo il più virtuoso suonatore di trombone, ma anche colui che parla con il maggior numero di lingue. L’intera storia dello strumento è presente nel suo modo di suonare, perlomeno la storia del Jazz”. Descritto dal critico Gary Giddins come “uno dei più convincenti trombonisti originali”, è di volta in volta un musicista estremamente lirico, un solista dal suono naturalmente caloroso e un innovatore senza vincoli. Ampliando la portata sonora del trombone con le sue tecniche estese e con l’uso non convenzionale del pistone muto e dei toni che riproducono il suono della voce, ha giocato un ruolo importante nel risvegliare l’interesse per lo strumento negli anni ’80.
Nato a Chicago nel 1952, Anderson è figlio di teologi. Ha intrapreso lo studio del trombone in quarta elementare, influenzato da registrazioni Dixieland di suo padre. Ha frequentato la “University of Chicago Lab School”, dove uno dei suoi compagni di classe era un altro notevole trombonista, George Lewis. Tra i suoi insegnanti figurano Frank Tirro, divenuto preside della scuola di musica di Yale e Ehi Dean, che ha introdotto il giovane Ray tra musicisti come John Cage e Archie Shepp. Da adolescenti, lui e Lewis sono stati esposti ai suoni esplorativi della “Association for the Advancement of Creative Musicians”, con i cui illustri membri Anderson suonerà poi intensamente. Allo stesso tempo, però, aveva la mente rivolta ai suoni popolari e innovativi di James Brown, Sly Stone e Jimi Hendrix. Anderson ha suonato in band di R&B mentre frequentava il college in Minnesota e Los Angeles e con band funk e latine mentre viveva a San Francisco. Nella costa occidentale, ha anche preso contatti con tre membri della locale comunità di jazz progressive, il saxofonista David Murray e i batteristi Charles Moffett e Stanley Crouch (oggi un importante critico).
Nel 1973 si è trasferito a New York. Ha studiato e suonato con eminenti musicisti di strumenti ad ancia e con il compositore e teorico musicale Jimmy Giuffre; si è unito al trio a forma libera del batterista Barry Altschul e ha suonato per tre anni con il quartetto di Anthony Braxton. Negli anni ’80 si è fatto notare con band quali i “Slickaphonics” (orientati alla musica funky) e il trio “BassDrumBone”, con il bassista Mark Helias e il batterista Gerry Hemingway. Su una serie di famose registrazioni, ha variato da Ellingtonia e i classici del jazz (Old Bottles, New Wine, con Kenny Baron, Cecil McBee e Dannie Richmond) fino a brani originali, tra i quali Muddy & Willie e Raven-a-Ning. Il prolifico Anderson ha anche dimostrato le sue speciali competenze di supporto in una vasta gamma di album di Braxton, Murray, “Charlie Haden’s Liberation Music Orchestra”, Dr. John, “George Gruntz Concert Jazz Band”, Luther Allison, Bennie Wallace, Henry Threadgill, Barbara Dennerlein, John Scofield, Roscoe Mitchell, “New York Composers Orchestra”, “Sam Rivers’ Rivbea Orchestra” e altri. Ha, inoltre, ricevuto una borsa di studio del “National Endowment for the Arts” per una serie di concerti come trombone solista.
Mentre proiettava il suo sound verso il futuro, Anderson ha spesso fatto ritorno al suo primo amore, la musica di New Orleans, in cerca di ispirazione. Entrambi le sue band, “Alligatory Band” e “Pocket Brass Band”, sono radicate a Crescent City (California). «Mi sento come un figlio spirituale di quella città», dice Anderson, che dirige anche la “Lapis Lazuli Band”, con la cantante-organista (e vecchia amica di Chicago) Amina Claudine Myers e si riunisce periodicamente con Lewis, Gary Valente e Craig Harris nel quartetto “Slideride”. Dichiara Anderson: «Certamente non faccio musica per scherzo; sono troppo consapevole del fatto che poggio sulle spalle di giganti, di grandi musicisti che hanno dato tanto alla musica». E ancora: «Credo che l’umorismo sia divino. Quando gli esseri umani ridono o sorridono, sono in uno stato di grazia. Insisto sul divertimento quando suono e se la band gode di se stessa, anche il pubblico lo fa. La musica contiene ogni sentimento ed emozione: è, in ultima analisi, un´espressione di amore. E’ la forza di guarigione dell’universo, come disse Albert Ayler. Voglio sempre portare tutti lungo il viaggio».
Anderson dedica il suo nuovo progetto alla tradizione di New Orleans, ma lo fa a modo suo, rileggendola in chiave moderna: un sound a metà tra marcia militare e funky, dove Scott Joplin e Thelonious Monk vengono genialmente interpretati. La Pocket Brass Band è la versione ridotta della tradizionale marching-band, ma il concetto di piccolo si riferisce solo alle dimensioni del gruppo, non certo al suo potenziale, infatti, in quest’ensemble si incontrano quattro musicisti tra i più innovativi e virtuosi.
Lew Soloff è uno dei più famosi trombettisti del panorama musicale jazz. Soloff divenne noto come co-fondatore della band di funk-jazz “Blood, Sweat & Tears”. La sua gamma musicale spazia tra jazz e rock: grazie al suo virtuosismo e al suono unico della sua tromba è oggi uno dei musicisti più richiesti dal vivo e in studio. La sua carriera, che dura ormai da oltre 30 anni, l’ha portato a collaborare con musicisti del calibro di Gil Evans, Dizzy Gillespie, Ornette Coleman e Marianne Faithfull. Soloff è stato prima tromba solista nell’ultima band di Barbara Streisand e nel corso degli ultimi anni lo si è potuto ascoltare in Europa in diverse formazioni: “Ray Anderson’s Alligatory Band”, “Carla Bley Big Band” e “George Gruntz Concert Jazz Band”. Soloff ad oggi ha pubblicato cinque album a proprio nome.
Il californiano Matt Perrine, nato e cresciuto a Sacramento, ha iniziato la sua carriera musicale all’età di dieci anni, suonando abbastanza modestamente il trombone nella banda della scuola. Si è quindi spostato a New Orleans e la scelta è stata ovvia, immerso com’era nel jazz e nel dixieland. Fin dal suo arrivo, nel 1992, ha attraversato molti confini musicali: eccellendo in contrabbasso, basso acustico e sousaphone, rappresentava una “minaccia tripla” e la sua reputazione come esperto musicista gli ha aperto le porte di quasi tutti i generi nell’ambito musicale di New Orleans. Al basso elettrico il suo valore si estende dal rock al reggae d’avanguardia e alla fusion, con band come “The Fifth Dimension”, “Sista Teedy & Cool Riddims”, “Loose Strings”, “Aaron e Charles Neville”, Jason Marsalis e “Neslort”. Perrine è il più gettonato jazz player di contrabbasso, che si tratti di swing, latin, tradizionale o be-bop, con artisti di fama mondiale come Ellis e Branford Marsalis, Lillian e John Boutee, Ruffins Kermit, il “Johnny Vidacovich Trio” e molti altri. A prescindere da questi riconoscimenti, è al sousaphone che Matt sfodera abilità e immaginazione. Riconosciuto come un “virtuoso strumentista di sousaphone” dalla rivista Downbeat, il suo lavoro con questo strumento lo impegna in patria e all’estero. Oggi Matt viaggia a livello internazionale con la sua band con base a New Orleans, i “Tin Men”, in cui è affiancato dal songwriter, chitarrista e cantante Alex McMurray e dal fenomenale suonatore di Washboard “Washboard” Chaz Leary. La prima incisione della band “Tin Men”, Supergreat Music for Modern Lovers, è stata nominata Album dell’anno dal comitato del “Big Easy Awards”. Quando è in città, Matt continua a suonare nei gruppi “New Orleans Nightcrawlers”, “Tin Men”, “Bonerama”, “Danza Quartet”, “Hot Club of New Orleans”, così come in molte altre band locali.
Eric McPherson apprende la batteria da autodidatta a soli otto anni, per iniziarne poi gli studi formali all’età di dodici. Durante i suoi studi presso la prestigiosa “LaGuardia High School” è stato raccomandato da Jackie McLean. Mentre era ancora studente alla “Hartt”, Jackie invitò Eric ad aderire al Jackie McLean Quintet, insieme a René McLean, Alan Palmer e Nat Reeves. Per i successivi quindici anni, fino alla recente morte di Jackie, Eric è stato il suo batterista, seguendo le orme di batteristi illustri quali Michael Carvin, Billy Higgins, Jack DeJohnette e Tony Williams. In quegli anni, Eric ha registrato due CD con Jackie e suonato con lui in sedi prestigiose e festival in tutto l’Estremo e Medio Oriente, l’America Latina, l’Europa, i Caraibi e gli Stati Uniti. Oltre ai tour e alle registrazioni con Jackie McLean, Eric ha anche suonato con una vasta gamma di importanti figure del jazz, tra le quali Pharoah Sanders, Andrew Hill, Richard Davies, Claudia Acuno, Jason Moran, Greg Osby e Avishai Cohen.
Il testo “Storia del jazz. Una prospettiva globale” di Stefano Zenni si configura come la più ricca e completa storia del jazz mai pubblicata in Italia dopo lo storico tomo di Arrigo Polillo. L’autore racconterà con immagini, proiezioni e ascolti, alcuni degli snodi chiave della narrazione del libro, che è frutto delle metodologie e delle informazioni più aggiornate ed è destinata a diventare un altrettanto grande classico della storia della musica afro-americana. Le vicende del jazz sono affrontate con una visione globale, che abbraccia gli Stati Uniti e l’Europa, l’America Latina e l’India, il Giappone e la Russia e mette in luce, attraverso un taglio geografico illustrato da numerose mappe e cartine, le complesse relazioni musicali e culturali dell’espansione della musica afroamericana tra il XVI e il XXI secolo, dalle migrazioni intercontinentali alle microdinamiche urbane. Per la prima volta vengono indagate a fondo le connessioni della musica con gli stili di danza, i diversi ambienti (dal club alla sala da ballo, alla nascita del concerto), le condizioni professionali (inclusi il ruolo di produttori, manager e il mondo del music-business) e i movimenti politici. Sostenuto da aggiornate fondamenta musicologiche, il testo offre, con un linguaggio non specialistico, la comprensione di centinaia di capolavori del jazz, in una prospettiva polistilistica: dalle musiche prejazzistiche al jazz-rock e al terzomondismo, dal dixieland revival ai complessi rapporti con la musica classica, in una visione inedita di relazioni tra stili, individui, aree geografiche, che vanno a comporre la più vasta sintesi critica disponibile. L’autore, inoltre, rovesciando i cliché consueti, inaugura un nuovo paradigma narrativo, illustrando con l’ausilio di diagrammi il ruolo centrale dei compositori nell’evoluzione del jazz. L’integrazione con il volume “I segreti del jazz”, attraverso icone che rinviano ad ascolti in digitale e analisi, apre il libro a ulteriori approfondimenti.
Stefano Zenni (Chieti, classe 1962), è il maggiore musicologo di jazz in Italia. Presidente della SIdMA, Società Italia di Musicologia Afroamericana, vicedirettore del “Center for Black Music Research – Europe”, è direttore della rivista di studi “Ring Shout” ed editor jazz del “Giornale della Musica”. Insegna “Storia del jazz e delle musiche afroamericane” presso i conservatori di Bologna, Pescara, Pesaro e “Analisi delle forme” a Siena Jazz”, dirige i seminari “Chieti in Jazz” e dal 1998 è direttore artistico della rassegna “Metastasio Jazz” a Prato. Ė stato candidato ai Grammy Awards per le migliori note di copertina. Collabora con Rai Radio3.
Per Stampa Alternativa ha pubblicato volumi su Louis Armstrong, Herbie Hancock, uno studio completo sulla musica di Charles Mingus e il libro “I segreti del jazz”, uno dei maggiori successi editoriali del settore, vincitore di vari premi.
La manifestazione “Piacenza Jazz Fest”, che si fregia del patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, è organizzata dall’Associazione culturale “Piacenza Jazz Club”, con il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano, della Regione Emilia-Romagna, del Comune e della Provincia di Piacenza e l’adesione di alcune realtà istituzionali e imprenditoriali del territorio.