“Non siete voi che mi cacciate, sono io che vi condanno a rimanere”.
A dieci anni dalla scomparsa di Carmelo Bene (16 marzo 2002) uno dei suoi più celebri aforismi appare oggi come un’illuminante verità. Difficile, infatti, dimenticare quella voce inconfondibile, il gesto enfatico e l’oltraggiosa capacità di stupire dell’attore nato a Campi Salentina (Lecce) l’1 settembre del 1937. Caratteristiche che approdarono anche a Piacenza, con due spettacoli, al teatro Municipale (eventi testimoniati dalle foto allegate).
La prima volta era il 1974 e Bene, appena uscito dalle cantine romane – allora “enfant terrible” – portò in scena il suo personalissimo Sade, allegra e feroce satira del supermarket del sesso. Una vera e propria distruzione dell’attore personaggio che, sicuramente, risultò un po’ indigesta al pubblico di casa nostra, vista la folgorante anticipazione di temi ancora lontani dall’essere sdoganati dalla cultura di massa e per questo si levò qualche fischio.
Tutt’altra accoglienza, invece nel secondo spettacolo che C.B. portò in scena nel 1982.
Con Pinocchio fu un trionfo e non mancano i ricordi a testimoniarlo: dall’attuale direttore del Teatro Stabile di Innovazione Diego Maj, il quale ha ben impresso nella mente “una bellissima rappresentazione, originalissima, davvero qualcosa di mai visto” al direttore del Municipale di allora, Pierluigi De Lorenzi: “Ricordo l’organizzazione della scena, o meglio, dell’intero teatro, visto che allestimmo lo spettacolo in platea con le sedie per gli spettatori sul palco. Qualcosa di impensabile per l’epoca”.
A 65 anni realizza quel che aveva sempre predicato di ottenere, “sparire, non essere più”. Dopo una vita dissoluta (“per quasi vent’anni ho bevuto in media tre bottiglie di Ballantine e fumato una stecca di Gitanes al giorno”, raccontava lui stesso) Carmelo Bene si spegne nella sua casa di Roma e ancora oggi la sua memoria è macchiata dalle polemiche. La causa legale in corso sul testamento, tra l’ex moglie Raffaella Baracchi – dalla quale ebbe la figlia Salomè – l’ultima compagna Luisa Viglietti e la sorella Maria Luisa non si è ancora conclusa. Così “L’Immemoriale” la Fondazione alla quale Bene lasciò tutti i suoi averi rimane bloccata, come l’immensa mole di materiale prodotto in una vita dal Maestro. Con buona pace di studiosi ed estimatori.
Ma anche in questo caso Carmelo Bene pronunciò parole premonitrici, contenute nella raccolta “Opere con l’autografia di un ritratto” dove parlando della trasgressione e dello scandalo, così centrali nella sua vita, con poche battute riuscì a condensare l’esistenza umana: “Si è costretti all’esserci trafelato: questo piegarsi alla rappresentanza, ai libri, a questa nourriture della quale avrei fatto assolutamente a meno. Non si scampa alla volgarità dell’azione, alla scorreggia drammatica di Stato. Si è obbligati allo scandalo, quasi fosse la ‘prima comunione’ con l’indifferente prossimo tuo, con l’odiato condominio che non detesterai mai quanto te stesso”. Ai pochi piacentini che hanno avuto la fortuna di vederlo nelle due apparizioni al Municipale rimane il ricordo vivo di quella che fu definita “la più bella voce, insieme alla Callas, del Novecento”. Agli altri non resta che cercare di raccogliere i frammenti sparsi di una carriera costellata di genio e sregolatezza, dai video alle registrazioni audio, dalle sue opere letterarie ai dialoghi notturni trascritti dai pochi giornalisti ai quali dava confidenza. E proprio in questi ultimi si trova, forse, il miglior saluto che potesse essere tributato a Carmelo Bene, ad opera di Giancarlo Dotto: “Non è solo l’amico che manca, ma quella voce, chissà dov’è andata, quella voce che ci dava calma e forza, quella voce che dà la nostalgia di tutto ciò che abbiamo perduto senza avere mai avuto”.