Taglio del nastro, questo pomeriggio nella Sala del Consiglio provinciale, per la mostra “150 anni di Sussidiarietà: le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore”. Alla cerimonia, alla quale ha partecipato mons. Gianni Ambrosio, presente anche il vicepresidente della Camera dei Deputati, Maurizio Lupi che ha ribadito la necessità del governo tecnico. “Si sarebbe dovuti andare alle elezioni, ma oggi più che mai c’era bisogno di fare questo passaggio. Quello di Monti è un governo all’insegna della sussidiarietà, nel senso che è emersa in maniera evidente l’idea di politica, quella con la p maiuscola, che antepone al legittimo interesse dei nostri partiti e dei nostri elettori quello del paese”. Anche l’onorevole Lupi, come tanti altri, di sconfitta della politica proprio non ne vuole sentir parlare e sottolinea come il Pdl darà un leale sostegno con un ruolo attivo e pieno di contributi al nuovo governo. E incalza: “Abbiamo già detto no alla patrimoniale. Oggi diciamo forte che Monti non deve dimenticarsi di alcuni pilastri del principio di sussidiarietà, primo fra tutti la famiglia. Se dobbiamo fare sacrifici tutti dobbiamo comunque tener presente che il perno del nostro Paese è la famiglia”.
Presente anche il presidente della Provincia, Massimo Trespidi: “In questa mostra vengono ripercorrosi i 150 anni della nostra storia, 150 incardinati sul principio di sussidiarietà, un movimento di popolo che nasce dalla libertà dell’io destinato a costruire opere sociali che sono la risposta concreta e efficace ai problemi della gente”.
La mostra dedicata a «150 anni di sussidiarietà» è frutto del lavoro di ricerca di alcuni docenti e studenti universitari della Cattolica di Milano, che hanno voluto interrogarsi sui motivi che hanno tenuto insieme gli italiani nei 150 anni di storia unitaria, una storia connotata, sì, da importanti traguardi politici ed economici, ma anche segnata da traumi profondi e da perduranti fratture tra le tante Italie che compongono il tessuto nazionale. Che cos’è l’Italia, chi sono gli italiani e perché ancora vivono insieme? “I fatti degli ultimi tempi – ha spiegato Maria Bocci, docente dell’Università cattolica di Milano e tra i curatori della mostra -, dalla crisi economica alle difficoltà politiche in cui si dibatte il nostro Paese, rafforzano queste domande. Chi ha curato la mostra è convinto che la risposta non vada ricercata in qualche slogan politico o ideologico, che non è mai riuscito ad ‘educare’ i nuovi cittadini dell’Italia unita. Le ragioni del nostro vivere insieme – aggiunge – sono collocate, ben più profondamente, nella storia di una civiltà millenaria, in cui Italia ha significato non solo un incredibile patrimonio culturale, ma anche una fitta trama di legami sociali, rafforzata dall’appartenenza religiosa che ha funzionato da elemento unificante delle molte diversità che compongono il paese. Tra i tratti più distintivi di questa civiltà, vi è la capacità di condividere i bisogni e le preoccupazioni della gente dimostrata da ampi settori della società. La storia della penisola è anche storia di una carità messa in opera, fonte di una tradizione civica che si è tradotta in iniziative educative, ospedaliere e assistenziali, che per secoli hanno reso più sopportabile l’avventura della vita comune”.
“La mostra individua, quindi, nella storia unitaria esperienze di vitalità sociale significative e rilevanti, paradigmatiche di una società capace di interagire con la costruzione della casa comune e di influire positivamente sul consolidamento dell’Italia unita, cooperando allo sviluppo del Paese e al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. Anche i contesti – spiega ancora Maria Bocci -, che hanno alimentato una forte opposizione al «Paese legale», come il movimento cattolico e quello socialista, con il tempo hanno prodotto esperienze di condivisione importanti per tutti, grazie alle libertà civili garantite dalla legge costituzionale dello Stato unitario. La mostra racconta, dunque, la storia di una certa sinergia tra società e Stato, una storia che si è arricchita man mano che il Paese si è modernizzato, quando le risorse della tradizione si sono misurate con le nuove emergenze, producendo strumenti moderni di presenza sociale che, nei fatti, sono stati una via alla cittadinanza”.
“Nemmeno il fascismo – racconta la curatrice – è riuscito a cancellare completamente le opere e le reti associative che innervavano la società civile. In alcuni ambiti della vita collettiva sono rimasti margini di vitalità, importanti per la ricostruzione del paese dopo l’avventura totalitaria. Ciò che succede dopo l’armistizio dell’8 settembre dimostra che ci sono ancora risorse vive nel corpo sociale. Durante la guerra, prima ancora che si organizzi la resistenza armata, laici, cattolici ed ebrei creano, insieme, una rete estesa di aiuti a favore di perseguitati e oppressi. Da questa intensa attività di sostegno alla popolazione si è potuto attingere un patrimonio vitale di significati e valori, prezioso per rifondare la democrazia italiana. La ripresa, civile ed economica, del secondo dopoguerra – conclude la prof.ssa Bocci – non è estranea a queste riserve sociali, che hanno potuto esprimersi di nuovo, aiutando il Paese a uscire dal clima di guerra civile. Lo stesso momento fondativo della Repubblica, che ha prodotto la Costituzione, come pure il veloce sviluppo economico degli anni Cinquanta e Sessanta si sono abbeverati a quel sostrato che connota la storia italiana e che è fatto di assunzione di responsabilità e di capacità di mettersi in gioco in prima persona, per farsi carico del bene comune. La mostra, dunque, fa conoscere uomini che sono stati capaci di mettere a frutto i talenti ricevuti e opere che hanno saputo ripensarsi di fronte ai molti cambiamenti della storia unitaria. Come hanno sottolineato i curatori, non è l’Italia ad aver fatto gli italiani: sono gli italiani ad aver fatto l’Italia”.