L’avvocato civilista e consigliere regionale di Lega Nord Roberto Corradi si è presentato questa mattina nella sede del partito in Via Trieste per spiegare i contorni del caso di Paolo Maloberti consigliere provinciale del Carroccio. Il discorso è partito dalla questione delle quote latte, il sistema economico introdotto nel 1984 dall’allora ministro all’agricoltura Filippo Maria Pandolfi. Tale legge impediva agli allevatori italiani di produrre più di nove milioni di tonnellate all’anno di latte, con pesanti multe per gli allevatori che sforavano. Chiaramente il tetto massimo era costituito da una media nazionale perché ogni allevatore possiede un diverso numero di capi di bestiame, stalle più o meno attrezzate e così via. Quindi per attivare questo sistema si dovette costruire un database che includeva l’elenco degli allevatori italiani, le stalle, la quantità e la tipologia del bestiame in modo da definire le quote massime per ogni centro di allevamento. Il sistema apparve subito di difficile gestione e solo nel 2010 il ministro Zaia avviò un’indagine per ricontrollare lo stesso database. L’indagine fu affidata al Comando dei Carabinieri sezione Politiche Agricole e Alimentari e nel verbale finale si legge “Manca un dato identificativo coerente ed univoco per tutte le aziende in produzione e ciò favorisce fenomeni fraudolenti o elusivi ed ostacola possibilità di investigazioni per prevenire eventuali comportamenti illeciti”. Inoltre il verbale continua: “Ne discende un quadro di significativa incoerenza dei dati, in particolare con riferimento alla produzione nazionale”. Tradotto, dall’inchiesta dei Carabinieri deriva il fatto che le banche dati su cui si basano le quote latte sarebbero costituite da dichiarazioni di allevatori, spesso false e non corrispondenti alla realtà dei fatti: in sintesi sarebbero presenti allevatori senza bestiame bovino, allevatori che hanno denunciato un numero di capi di bestiame minore i superiore alle effettive disponibilità e via dicendo. Arrivati a questo punto nel verbale dei Carabinieri si legge che la situazione è tale “da mettere in discussione lo stesso splafonamento dello Stato Italiano”, in altre parole da rendere incoerente il principio della sanzione all’allevatore che produce un surplus di latte.
IL CASO MALOBERTI
Maloberti è in generale accusato di non aver rispettato i patti del decreto quote latte. Partendo dal presupposto che fino al 31 Dicembre 2011 non si potranno conoscere i reali capi d’imputazione perché una volta che è stata depositata la condanna devono passare 3 mesi per conoscere le motivazioni, l’avvocato Corradi sottolinea due aspetti, da una parte per Maloberti è previsto il beneficio della sospensione condizionale della pena principale ed accessoria e della non menzione. In altre parole, anche nel caso che il consigliere provinciale dovesse essere condannato, non dovrà scontare realmente la condanna in carcere e non dovrà pagare la sanzione. La difesa di Maloberti si basa sul fatto che il decreto quote latte non è più attendibile e che quindi ogni obbligo da parte dell’allevatore perde ogni attuabilità. Nel 2006 la cooperativa La Lombardia, alla quale appartengono gli attuali imputati avevano presentato un esposto in cui si chiedeva “che possa disporsi l’immediata sospensione dell’obbligo di versamento dei prelievi supplementari autorizzando La Lombardia a non versare ad AGEA qualsiasi somma eventualmente richiesta”.
Presente alla conferenza stampa di questa mattina anche Pietro Pisani, segretario provinciale di Lega Nord che ha spiegato che non è corretto parlare di truffa e che niente impone a Maloberti di presentare le dimissioni da consigliere provinciale. “Il fatto di rinunciare o meno alla poltrona” – spiega Pisani – dipenderà da una sua scelta personale”.
In ultimo Paolo Maloberti ha negato nuovamente di avere altre pendenze giudiziarie, sospetto innalzato da quelle che Pisani ha definito voci di corridoio di politici scorretti.