L’impennata delle quotazioni delle commodity agricole, salite in un anno del 44,4% sui mercati internazionali, comincia a far sentire le sue conseguenze sui prezzi al consumo degli alimentari, senza peraltro portare alcun vantaggio ai produttori italiani, che, anzi, si trovano a fare i conti con l’escalation dei listini di molti generi agricoli d’importazione, come quelli necessari all’alimentazione animale. Quella che ha fatto segnare il record di crescita dei prezzi al consumo dal novembre 2008, con un carovita, che ha registrato, in febbraio, un balzo del 2,4% su base annua (dati ISTAT), è un’inflazione importata, di cui i produttori agricoli subiscono il peso, pur se i generi alimentari sono indicati come uno dei settori in cui i listini sono a maggior crescita. La realtà è che gli agricoltori guadagnano sempre meno, perché la forbice costi-prezzi continua a rilevarsi micidiale. Ad avviso di Confagricoltura servono politiche mirate per migliorare la competitività delle nostre produzioni e rendere più equilibrati i mercati, favorendo una fase di espansione duratura per il settore e di crescita per il Paese. Il valore aggiunto in agricoltura, nel 2010, ha registrato un aumento in volume dell’ 1%, ma la buona notizia, è già stata sorpassata dalla corsa del petrolio di questi ultimi giorni. “I lavori di campagna sono alle porte – commenta Luigi Sidoli Direttore di Confagricoltura Piacenza – speriamo davvero che non schizzino alle stelle i costi dei fertilizzanti e del gasolio, le aziende non sono ancora uscite dalla crisi e rischiano di vedere invertita la positività del trend registrato nell’ultimo anno. Non dimentichiamo – prosegue Sidoli – che il settore deve ancora recuperare un calo di quasi due miliardi, cioè più del 6%, dal 2004 al 2009”. Una considerazione, va a favore del comparto agroalimentare la riscoperta del valore delle produzioni primarie. Qualche giorno fa su “La voce della Russia” è stato scritto che La Russia può diventare la fornitrice principale di generi alimentari ai mercati mondiali già fra 10 anni. Per la Russia stessa ciò può significare una nuova struttura di esportazione, in cui il petrolio cederà il posto ai cereali. “Questo messaggio è al contempo uno stimolo e un campanello d’allarme – conclude Sidoli – dobbiamo arrivare sui mercati internazionali attrezzati per evitare di subire passivamente le speculazioni finanziarie su prodotti che, iniziano a riconoscerlo in molti, sono preziosi quanto l’oro.”