“Le quotazioni dei cereali di questi giorni confermano, purtroppo, ciò che stiamo segnalando da tempo: la volatilità dei prezzi sta divenendo una caratteristica strutturale del mercato delle materie prime agricole – commenta Luigi Sidoli Direttore di Confagricoltura Piacenza – su EuroNext, il mercato a termine di Parigi, una tonnellata di grano tenero vale 198 euro, per consegna in agosto, mentre il 1° luglio era quotata 140 euro. A Cichago l’aumento nel solo mese di luglio 2010 è stato di oltre 70 dollari/tonnellata (passando da 183 a 254 $/ton). Il frumento tenero a luglio, ha registrato un aumento del 40% sui mercati finanziari, raggiungendo il massimo livello da più di un anno, con un incremento tale su base mensile che non si registrava dal 1973. Ciò è attribuibile alle forti riduzioni dei cereali nei paesi del Mar Nero che stanno facendo schizzare alle stelle le quotazioni sui mercati internazionali”. L’eccezionale ondata di calore, con temperature che superano i 40° e la prolungata siccità, nella parte occidentale della Russia, ma anche in Ucraina e in alcune regioni del Kazakistan, stanno avendo conseguenze drammatiche per le colture cerealicole. In Russia si profila una riduzione del raccolto di frumento di oltre il 25% e complessivamente – pone in evidenza Confagricoltura – nell’area dell’Est Europeo potrebbero venire a mancare oltre 30 milioni di tonnellate di cereali. C’è già chi paventa aumenti dei prezzi della pasta, ma è prematuro fare analisi del genere su situazioni tutte da verificare – commenta l’Organizzazione degli Imprenditori Agricoli – bisognerà piuttosto vigilare che non ci siano forzature e speculazioni, perché l’aumento dei prezzi al consumo dei prodotti finiti, ad oggi, purtroppo, è difficilmente attribuibile alle materie prime agricole il cui problema di sempre è l’incidenza irrisoria del loro costo su quello praticato sullo scaffale. “La fiammata del prezzo dei cereali preoccupa, invece, per la situazione, già drammatica, delle aziende zootecniche da latte – puntualizza Sidoli – che si troveranno, con tutta probabilità, a dover sostenere l’aumento del costo dei mangimi naturalmente legati trend delle quotazioni dei cereali, mentre sul prezzo del latte in Lombardia si è ancora lontani da una quadra. Ricordiamo che la trasformazione non vuole riconoscere alla produzione l’adeguata remunerazione della materia prima anche se il latte spot nazionale è quotato oltre i 40 centesimi il litro e il grana padano, cui è destinato il 90% del latte lombardo e del bacino piacentino, evidenzia aumenti a due cifre rispetto alle quotazioni di un anno fa. Se l’industria lattiero casearia non mostrerà segnali di apertura seri, l’ulteriore aumento dei costi produttivi – conclude Sidoli – porterà insindacabilmente alla chiusura di altri allevamenti minando la sopravvivenza del settore.”