Piacenza protagonista del congresso mondiale di Nefrologia, in calendario da domani 22, fino al 26 maggio a Milano. All’importante appuntamento scientifico saranno infatti presentati i risultati di uno studio realizzato dalle unità operative di Nefrologia e Radiologia II dell’ospedale Guglielmo da Saliceto. Lo studio, concluso con esiti interessanti e notevoli riflessi sulla cura dei pazienti, è stato dedicato alla terapia della nefropatia ischemica aterosclerotica. La malattia è dovuta al graduale restringimento (stenosi) del lume della arteria renale, causato della placca aterosclerotica all’ostio del vaso, che fa sì che arrivi meno sangue al rene, scatenando così una serie di alterazioni ormonali che portano a un aumento della pressione arteriosa . Talvolta i valori sono così elevati da mettere a rischio la vita del paziente. Si verifica un peggioramento della funzione renale che può portare alla necessità di dialisi o talora a episodi di scompenso cardiaco. Da dati in letteratura si stima che un paziente su 4, di età maggiore di 65 anni, inizia la dialisi a causa della malattia aterosclerotica renovascolare."Il nostro studio randomizzato e multicentrico – spiega il nefrologo Roberto Scarpioni, coordinatore del progetto e relatore al congresso di Milano – si è sviluppato in cinque anni e ha visto Piacenza capofila dello studio. Abbiamo coinvolto i centri di Nefrologia e Radiologia delle Università di Brescia, dell’ospedale di Cremona e di quello di Mantova. Sono stati coinvolti pazienti con ipertensione arteriosa e insufficienza renale causata da malattia aterosclerotica renovascolare"."Lo studio ha visto la stretta cooperazione – continua Scarpioni – con la Radiologia interventistica del nostro ospedale diretta da Emanuele Michieletti". Il progetto era già presentato in occasione di un convegno nazionale svolto a Piacenza con i maggiori esperti nazionali dell’argomento ed era stato oggetto di pubblicazione nel 2005 sulla rivista Journal of Nephrology (Scarpioni R. et al. Atherosclerotic renovascular disease: medical therapy versus medical therapy plus renal artery stenting in preventing renal failure progression: the rationale and study design of a prospective, multicenter and randomized trial (NITER) J Nephrol. 2005 Jul-Aug;18(4):423-8).«L’obiettivo – sottolinea Luciano Cristinelli, primario di Nefrologia e dialisi – era quello di fornire una risposta scientifica a un dubbio procedurale non ancora ben chiarito: se applicare la terapia interventistica endovascolare o se preferire, in alternativa, quella di tipo medico». L’antinomia è ripresa anche nell’acronimo che ha contraddistinto il progetto: Niter (Nefropatia Ischemica: TERapia medica versus stenting dell’arteria renale). "Lo studio – spiegano il nefrologo e radiologo – indica nel medio/lungo termine un risultato positivo in termini di sopravvivenza dei pazienti studiati, grazie alla ottimizzazione della terapia medica con uno stretto controllo dell’ipertensione arteriosa con farmaci nefro-protettivi, con il controllo della dislipidemia con farmaci ipolipemizzanti, con il miglioramento della emodinamica con farmaci anti-aggreganti piastrinici, rispetto alla terapia interventistica con stenting dell’arteria renale, terapia invasiva e costosa, che andrebbe riservata a casi selezionati".Nel panorama mondiale non c’era finora un’indicazione codificata: lo studio piacentino è stato il primo, a livello mondiale, a fornire una risposta, mentre altre due iniziative, una negli Stati Uniti e una in Olanda, non si sono ancora concluse. "Abbiamo comunque in corso – sottolinea il dottor Scarpioni – contatti con questi altri importanti centri stranieri sull’andamento clinico dei loro progetti". "Collante indispensabile per questi risultati – continuano gli esperti piacentini – è anche il miglioramento degli stili di vita: si è puntato a impostare un regime alimentare dietetico, iposodico e ipoproteico, a sospendere il fumo e aumentare l’attività fisica. L’ottimizzazione della terapia ha avuto risvolti positivi anche nei pazienti ormai già in trattamento dialitico a causa della malattia. Questi malati hanno dimostrato un migliore andamento clinico negli ultimi anni, con una sopravvivenza a 5 anni del 42 per rispetto a esperienze statunitensi del solo 18 per cento". Questi incoraggianti risultati hanno spinto il comitato scientifico del World congress of Nephrology a selezionare il lavoro piacentino per una illustrazione durante il convegno.