Figaro, da Mozart a Rossini, da Piacenza a Roma, 200 anni dopo. Ricorrono quest’anno i duecento anni dalla prima rappresentazione de Il Barbiere di Siviglia al Teatro Municipale di Piacenza.
Nella primavera del 1818, due anni dopo che i piacentini avevano conosciuto il primo titolo rossiniano, L’Italiana in Algeri, approdava nel nostro teatro il Figaro, di mozartiana memoria. Spiccava nel cast la celebre cantante Marchesini nel ruolo di Rosina. Era un trionfo per il pubblico e per la Città tutta che contava sulla venuta del Maestro Rossini. La commedia era tratta dalla pièce “La precauzione inutile”, ovvero Le Barbier de Séville del grande Beaumarchais dal quale Rossini avrebbe attinto per il proprio capolavoro costruito sul libretto di Cesare Sterbini.
Ventinove furono le repliche del Barbiere a Piacenza ma sempre il fascino del burlesco barbiere avrebbe colpito generazioni di spettatori con la storica domanda: “Perché la comicità dell’essere?” Identico interrogativo drammaturgico che muove in questi giorni la concezione teatrale del regista Graham Vick, autore inquietante di una visione mozartiana originalissima dello spettacolo Le nozze di Figaro in scena all’Opera di Roma.
Al centro delle nozze sta il ribaltamento della scala sociale: il trionfo dei servi di fronte al ludibrio della classe padronale. Si respira in queste nozze la stessa energia che Rossini avrebbe infuso al suo Figaro; non dimentichiamo che Stendhal aveva definitole le Nozze come la “La folle giornata” e successivamente il Barbiere rossiniano con “La spensierata aria d’Italia” (Mémoires d’un touriste).
All’Opera di Roma, Stefano Montanari dirige l’Orchestra in un soffio di vita e di leggerezza mentre i personaggi lievitano dal proprio essere e si innalzano per celebrare l’amore. Era proprio questo che Beaumarchais voleva far comprendere al pubblico della Corte di Luigi XVI che si sdegnava della dura critica sociale della pièce.
Gioachino Rossini era solito venire spesso a Piacenza a trovare la sua cara amica Rosmunda Pisaroni alla quale era particolarmente legato da un rapporto di stima e di affetto. Durante la stagione 1828-29, Rossini si recò a Parma; seppe che a Piacenza andava in scena il Barbiere ma non si fermò in teatro nonostante che gli fosse stato detto che durante i lavorio di restauro era stato collocato in teatro un nuovo lampadario simile a quello della Canobbiana di Milano. In quell’occasione Rossini lesse le critiche al Barbiere comparse sulla stampa ma non si soffermò in teatro.
Il Figaro, oggi, è il simbolo reale ed immortale dell’uomo libero. Il senso della scena trascende il personaggio e lo colloca in un universo immaginario lontano da ogni categoria o fatto temporale. In Mozart la libertà di classe è la chiave di accesso al mondo nuovo in cui credevano i suoi autori, il mondo della redenzione dai vincoli della morale costituita, le tradizioni legate allo jus primae noctis, il costume aristocratico dell’omaggio vassallatico.
Nello spettacolo di Roma il finale scioglie tutti gli enigmi in un incanto di bontà e di meraviglia; inquietante la regia di Graham Vick tra le scelte audaci delle coppie intrecciate.
A questo punto ricordiamo gli interpreti: Il Conte di Almaviva: Andrey Zhilikhovsky; la Contessa di Almaviva: Federica Lombardi; Susanna: Elena Sancho Pereg; Figaro: Vito Priante; Cherubino: Miriam Albano; don Basilio: Matteo Falcier; Barbarina: Daniela Cappiello.
Da Mozart a Da Ponte a Rossini attraverso la bufera della Rivoluzione Francese, l’Europa conosce la libertà che eleva l’uomo alla nobiltà dell’Amore di tutti i tempi.
Maria Giovanna Forlani