“L’uomo è fatto per gli altri, lo dice anche il suo corpo: a cosa servirebbero le orecchie, gli occhi, la bocca, se non a stare insieme agli altri?”. Così don Antonio Mazzi ha parlato agli studendi dell’università Cattolica questa mattina in occasione della giornata del dono.
Un giornata fondata sulle parole di San Francesco d’Assisi: “Cominciate col fare il necessario, poi ciò che è possibile e all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Nasce per stimolare negli studenti della Cattolica della sede di Piacenza e in tutta la comunità universitaria una riflessione continua sui valori della solidarietà e della fraternità creando un’opportunità diretta di vivere in prima persona alcune esperienze di dono (volontariato, donazione sangue, tempo). Con la testimonianza e l’esperienza di chi già rende concreta l’esperienza del dono attraverso l’attività di volontariato, si è cercato di fare luce su alcune possibili declinazioni con cui il dono può manifestarsi: il dono di sé, della competenza, della cura, del cibo, del tempo, delle abilità, dell’ascolto, della cittadinanza, della cooperazione.
La giornata promossa dall’Università Cattolica in collaborazione con SVEP Centro Servizi per il volontariato di Piacenza, è ufficialmente inserita nelle iniziative del #DonoDay2018, un giorno dedicato a chi fa del dono una pratica quotidiana promosso per il quarto anno consecutivo dall’Istituto Italiano della Donazione (IID) per valorizzare l’Italia del bene, per costruire la mappa dell’Italia che dona, un Paese capace di reagire alle difficoltà mettendo al centro la bellezza del dono in tutti i suoi aspetti e di portare avanti la riflessione sull’importanza della buona donazione. Una mappa in cui appare da quest’anno anche la città di Piacenza.
“La Cattolica è un luogo dove dobbiamo spiegare prima di tutto agli stessi cattolici che il concetto del donare è fondamentale nella vita. Deve essere un alveare di cultura alternativa: non c’è bisogno di milioni di persone per cambiare il mondo, pensiamo a personaggi come Luther King o Galileo, persone che da sole hanno cambiato il mondo”.
Don Mazzi ha raccontato come proprio il concetto del dono lo abbia spinto a diventare sacerdote: “Io volevo studiare Lettere, ma in casa non c’erano soldi, per questo motivo andai a dare una mano nella “città dei ragazzi”, una struttura dove il vescovo di Ferrara accoglieva i giovani provenienti dal riformatorio. Era il 1951 e arrivò l’alluvione: nella città dei ragazzi portavano le persone rimaste senza nulla. Io avevo sempre sofferto la mancanza di un padre e avere a che fare con tutti quegli orfani mi fece pensare che se avessi svolto il ruolo di padre per loro, avrei forse colmato quel vuoto. Mi feci prete per poter stare vicino a quei ragazzi. Il vescovo mi disse che era necessaria la vocazione e io gli risposi: “Se aspettiamo la mia vocazione questi ragazzi saranno già sposati con figli” (ride ndr) e fu così che divenni sacerdote”.