La Banca di Piacenza ha inaugurato il suo autunno culturale a Palazzo Galli con un’interessante conversazione (tema, il discernimento – pastorale e spirituale – dei segni dei tempi) che ha visto protagonista in Sala Panini il vescovo di Cremona Antonio Napolioni, presentato dal presidente del Comitato esecutivo dell’Istituto di credito di via Mazzini. Corrado Sforza Fogliani ha ringraziato mons. Napolioni – unitamente al responsabile dell’Ufficio Beni culturali della Diocesi cremonese don Gianluca Gaiardi, che lo accompagnava – per aver accettato l’invito e per la collaborazione offerta in occasione della “Salita al Pordenone”. Un ringraziamento particolare è stato rivolto anche al nostro vescovo, mons. Gianni Ambrosio, per la sua presenza in sala.
Prima di compiere un breve e illuminante viaggio tra coscienza e fede, libertà e responsabilità nella vita della Chiesa e della società, il vescovo della città del Torrazzo ha ringraziato la Banca per l’invito, sottolineando e auspicando che la collaborazione tra i territori cremonese e piacentino «si rafforzi sempre di più in una unità d’intenti, perché il Po non ci divide ma ci unisce». Mons. Napolioni ha premesso che il suo non voleva essere «un giudizio sull’oggi», non possedendo sfere di cristallo, bensì una lettura della realtà. «Interrogarmi – ha specificato – se esista un metodo che escluda l’istinto per orientarci nel contesto di grande cambiamento che stiamo vivendo», un percorso da compiere insieme «per leggere la storia e non esserne vittime». Un viaggio che parte col piede giusto «se non ci si limita a fotografare i fatti» e se «si usano strumenti adeguati per vedere, giudicare, agire». Un approccio che a parere del vescovo di Cremona «ci consente di stare nella realtà in maniera adulta, non trattandola ingenuamente ma capendo i segni del tempo», cogliendo l’occasione favorevole affinché «il tempo sia propizio per arrivare alla salvezza». Diceva Giovanni XXIII: “In mezzo alle tenebre cercate gli indizi che fanno ben sperare sulle sorti della Chiesa e dell’umanità. Da gesuita Papa Francesco, ha ricordato il vescovo di Cremona, si ricollega all’esigenza del discernimento, che è cosa ben diversa dal catalogare e giudicare. La ricetta finale? «Liberarci – ha esemplificato il relatore – dall’homo faber e dall’homo sapiens e affidarci all’homo ludens, libero da schematismi, docile e curioso che guarda la vita come alla più bella avventura che possa capitare».